Lo spettacolo “Io, Dante e la vacca” di e con Alberto Rizzi (Ippogrifo Produzioni) sarà in scena venerdì 6 agosto, a San Giovanni Lupatoto nel Parco ai Cotoni – nell’ambito del Sangiò Art Festival – per l’ultima uscita veronese di questa prima parte di tour. Si tratta per il momento dell’ultima occasione per assistere a uno spettacolo dedicato alla Divina Commedia di Dante che il regista e attore Rizzi ha scritto in poco meno di quattro mesi, da gennaio a maggio di quest’anno.

Chiariamo subito che si tratta di una piéce che va sia vista e ascoltata, per la performance appassionata che Rizzi mette in scena, sia letta con calma, grazie al libretto in vendita a fine spettacolo, per pregustarne ulteriormente le sfumature e carpirne i tanti riferimenti letterari, musicali ma anche politici e d’attualità. Un vero e proprio viaggio, quello che ci fa fare Rizzi ispirato da Dante, nel mondo dell’arte, della letteratura, della musica, della scienza: da Albert Einstein a Fedor Dostovjeski, da Gianni Morandi a Ludovico Ariosto passando per Agatha Christie e ovviamente Virgilio.

Lo spettacolo, portato in scena “in puro stile Ippogrifo” (il monologo di un solo attore sul palco, pur coadiuvato da musiche e suoni di scena, non poteva che ricordarci da vicino l’altra recente “hit” della compagnia teatrale, “La Papessa”, interpretata magistralmente da Chiara Mascalzoni), riesce a innescare riflessioni profonde sull’opera del Sommo Poeta, che emerge ancora una volta, qualora ce ne fosse bisogno, in tutta la sua grandezza. Come aveva evidenziato già Vinicio Capossela nel suo recente concerto al Teatro Romano nell’ambito del Festival della Bellezza, a sorprenderci è la scoperta dell’estrema attualità di Dante e della sua magnifica opera, figlia indiscussa del suo tempo, il Medioevo, ma focalizzata su temi talmente universali da risultare ancora estremamente precisa nel suo scandagliare l’animo umano.

La vacca Rossella, partner di Rizzi sul palco – Foto tratta dal profilo Facebook di Alberto Rizzi

L’allevatore Doro, il personaggio interpretato da Rizzi, dialoga con la sua vacca Rossella della sua vita quotidiana, da cui trae spunti per parlare di Dante. O, a pensarci bene, è il contrario? Con un continuo gioco di rimandi fra il quotidiano e l’opera dantesca, Rizzi ci accompagna senza soste per un’ora e venti minuti. La sua capacità attoriale è inferiore (di poco, peraltro) solo alla sua straordinaria capacità dimostrata nel tempo come autore e come regista, visto che in tanti anni di attività ha saputo creare opere di grande livello e sempre in grado di stimolare la curiosità e il pensiero critico del pubblico. E non solo a teatro, come il suo primo lungometraggio cinematografico, “Si muore solo da vivi“, ha confermato in sala.

Ciò che ha sempre contraddistinto la produzione di Ippogrifo è proprio quella sottile ironia, quel sorriso che con garbo e intelligenza viene strappato allo spettatore, il quale viene portato in mondi spesso complessi, come quello dell’aldilà dantesco (ma si pensi anche, di nuovo, a “La Papessa” e al suo importante messaggio femminista o al minato campo della malattia mentale affrontato in “Riccardo Perso”), senza fatica, con leggerezza. Insomma, un “modus teatrandi” che arricchisce sempre. A questo Rizzi, lo sappiamo, tiene molto. Così come tiene molto all’apertura mentale nei confronti di tutto ciò che è cultura, arte, bellezza. Perché si può fare cultura in molti modi, in modo intelligente e popolare (come in fondo popolare era proprio Dante, al centro del suo ultimo spettacolo), con ironia e profondità, senza spocchia e con la volontà di aggiungere sempre qualcosa all’esperienza del pubblico. E in fondo è un allevatore di vacche il personaggio scelto per raccontarci del Conte Ugolino o di Paolo e Francesca. Una scelta ben precisa per rendere ancora più chiaro come la Cultura con la c maiuscola, sia un bene che non può e non deve essere ad appannaggio di pochi eletti.

Alla fine , comunque, a prevalere è la commozione. Nella parte finale dello spettacolo, dopo averci condotto nelle viscere dell’Inferno ed essere passato velocemente nel Purgatorio (forse troppo velocemente, ma è l’unica piccola pecca che possiamo trovare al testo, d’altronde già molto denso), Rizzi arriva a esplicitare nella sezione dedicata al Paradiso il grande messaggio di quest’opera. E cioè che la presenza del Divino, inteso come Amore e quindi qualcosa per cui valga la pena vivere, lo si può trovare in tante piccole esperienze quotidiane. Dai più insignificanti gesti ai più grandi ed eclatanti. Gli esempi che Rizzi elenca suonano come una dolcissima preghiera per il cuore di chi lo ascolta. E con questa fondamentale consapevolezza si torna a casa fra lacrime e sorrisi.

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