Abbiamo ancora tutti sotto gli occhi le immagini di ieri e del malore accaduto in campo, durante la partita Danimarca-Finlandia valida per il gruppo B dei Campionati Europei di calcio, al giocatore Christian Eriksen, centrocampista della nazionale danese e della squadra italiana Inter Milano. Per fortuna ieri c’è stato un “lieto fine”, ma ricordiamo, purtroppo, anche i tanti altri casi finiti in passato nel peggiore dei modi: Piermario Morosini, Marc Foé, Antonio Puerta, Miklos Feher, per non parlare, anche se il fatto non è avvenuto direttamente in campo, della morte di Davide Astori.

Tra emozione e immediati ragionamenti quello di Eriksen ci racconta qualcosa di particolare.   Quanto accaduto allo stadio “Telia Parken” di Copenaghen – e per fortuna, vien da dire, che sia avvenuto lì, in una situazione in cui l’emergenza poteva essere effettivamente gestita da personale esperto e preparato – non è solo un fatto sportivo o una “casualità” improbabile accaduta a un giocatore. Ampliato dalla grande diffusione mediatica di decine di telecamere, il malore di Eriksen ci sbatte in faccia tutta la nostra fragilità, il nostro essere legati a un filo. Un secondo prima stai bene e quello dopo potresti, letteralmente, non esserci più. Ciò che è accaduto ieri ci sbatte in faccia la fine, quando mai ci avresti pensato. Perché se capita a un giocatore internazionale, super controllato, super professionista, allenato, preparato fisicamente, allora potrebbe capitare a chiunque.

Chi ieri, guardando il match fra le due nazionali nord-europee, non ha provato un brivido di paura, per un umanissimo effetto di immedesimazione, per il proprio cuore o per altro? Chi non ha ripensato che quel controllo rimandato da tempo, sarebbe meglio farlo prima possibile? E se è successo a lui, cosa potrebbe succedere, a chi non sempre riesce a mantenere uno stile di vita regolare, pieno di stress e di tensione, a chi inizia diete e non riesce a controllarle, a chi fuma e insomma a chi non ce la fa proprio a mantenere, per tante ragioni, una vita sana ed equilibrata? Ci verrebbe da pensare il peggio.

Ieri sul quel campo abbiamo vissuto, attimo dopo attimo, la tragedia umana e la “resurrezione”. Abbiamo vissuto l’imponderabile, dove la ragione non arriva. I medici che lo hanno visitato negli anni sostengono che niente faceva presagire una possibile malattia. Dopo il dramma e la grandissima paura, amplificata da quel silenzio surreale dei tifosi di Finlandia e Danimarca, abbiamo visto, per fortuna, anche la rinascita. Niente metafore cristiane, sia chiaro. Ma pensiamo solo a come Eriksen è stato “riportato in vita” e pensiamo, quindi, all’aiuto dell’altro e la preparazione all’emergenza, fondamentale in casi come questi.

La salvezza passa nella prontezza di riconoscere il dramma, di fare ciò che è giusto e necessario. Leggiamo dell’eroe capitano Simon Kjaer, che è subito intervenuto con le manovre giuste per evitare il soffocamento, e della sua capacità di aiutare la moglie del giocatore colpito con la rassicurazione e la speranza che, inevitabilmente, con il cuore in frantumi, bisogna sforzarsi di trasmettere. Poi, ancora, le immagini della squadra a “fare da scudo” a un occhio troppo potente (o prepotente), quello delle telecamere e, in definitiva, del mondo, per poter entrare nel momento più critico della vita di un essere umano. Infine, fondamentale, la presenza di sanitari preparati e di quell’attrezzo, il defibrillatore, subito a disposizione. A proposito qualcuno ci insegna a usarlo?

La salvezza, ribadiamo, passa attraverso l’altro e al legame instaurato con l’altro. La nostra impotenza individuale, così troppo spesso narcisisticamente imperante, si nutre del legame sociale e della sua opera salvifica. È la trascendenza, l’io che diventa noi.

Altro tema: quanto accaduto ieri ci deve far riflettere che la prevenzione salva la vita. Non è un’ovvietà, un pour parler. Quante volte sopraggiunge, “raccogliendo i cocci” di una malattia apparsa, di un trauma subito, un incidente accaduto, la disperazione di non averci pensato prima, di non aver previsto. Solito male italiano: trovare una soluzione quando il problema è già apparso. 

Ieri su quel campo si è svolta una tragedia degna di Shakespeare del regno di Elsinore, dove per fortuna l’essere ha prevalso sul non essere. Buona guarigione Chris. Speriamo di rivederti presto sul campo e a quel punto il cerchio si sarà chiuso nel migliore dei modi. Noi però non dimentichiamo questo grande insegnamento.

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