Domenica sera, per novanta minuti, il pubblico del Bentegodi si è trovato di fronte a qualcosa di insolito. Curioso che nel mondo del digitale, della realtà virtuale e delle protesi di memoria, nessuno si sia accorto che in campo, a disputare Chievo-Lazio, partita valida per la quattordicesima giornata del campionato di serie A 2018/19, ci fossero ventun giocatori e probabilmente un ologramma. Arrivato direttamente dagli anni Novanta, ha preso le sembianze di un personaggio piuttosto noto ai frequentatori dello stadio veronese.

Il calcio moderno ha ridefinito il ruolo di centravanti e le sue caratteristiche. Gli attaccanti di oggi sembrano dividersi in due macrocategorie. Banalizziamo: da una parte quelli dal gran fisico, ma dalla tecnica così così. Dall’altra saette abilissime coi piedi, ma non certo dei Maciste nella fisicità.

Nel gelo di Verona, Sergio Pellissier – o il suo ologramma, chissà – ha invece regalato al pubblico una dimostrazione pratica arrivata direttamente dal calcio che fu. Per alcuni è stata un’opportunità unica: senza ricorrere al download su YouTube dei video d’annata, ha permesso agli appassionati più stagionati, ai giovani aspiranti calciatori e ai bambini supporter gialloblù di godersi per un’ora e mezza uno spettacolo a cui non erano più abituati o non avevano mai visto dal vivo. Un centravanti stile anni Novanta. A beneficio dei teenager: un centravanti completo.

Centodieci con lode

Domenica è stata finalmente una serata felice per il Chievo. Il gol realizzato alla Lazio dal bomber gialloblù e la dinamica con cui ne è scaturito ha sublimato la prestazione corale di spessore da parte di una squadra che, con l’arrivo di Mimmo Di Carlo, sembra essersi finalmente ritrovata. Il punto conquistato ha un significato molto più profondo di quanto valga in termini di classifica.

Indubbio però che quanto esibito da Pellissier abbia, per certi versi, catturato l’attenzione sulla scena. Se l’abbraccio al figlio ha riportato il milionario mondo del pallone a una dimensione romantica e familiare, in realtà è dal punto di vista tecnico che la sua prova sia da segnare con l’evidenziatore. Una gara da 110 con lode, come il numero dei gol raggiunto in serie A proprio con la formazione biancazzurra colpita per l’ottava volta in carriera.

Viva il goleador

Teletrasporto o meno, all’alba dell’età terrestre di trentanove anni e otto mesi, il numero 31 della formazione gialloblù ha riportato idealmente indietro il tempo e la memoria ai goleador che in passato guidavano la linea offensiva delle cosiddette provinciali. Tutta gente che, oltre a talento e fiuto del gol, esibiva innanzitutto una spiccata personalità. Ispiratori per i compagni se non, come Pelo-gol, leader carismatici, erano legati a doppio filo al club d’appartenenza. Amati dai tifosi, si approcciavano con loro in maniera spesso autentica e genuina. Lontani – non ce ne vogliano alcune star o pseudo tali di oggi – dalla modalità un po’ plastificata a cui qualche atleta odierno ricorre attraverso il proprio profilo personale sui social.

I movimenti mostrati in campo contro la Lazio dal capitano, sia con che senza palla, dovrebbero essere mostrati a giovani e meno giovani calciatori ma anche a certi giovani e meno giovani allenatori. Capacità di intuire il gioco e leggere le situazioni, perfetto sotto porta e collaborativo fuori dall’area, ha fatto ricorso con intelligenza alle proprie qualità tecniche piuttosto che fisiche a seconda del contesto o del frangente. E dimostrato di possedere un intatto bagaglio di corsa, astuzia e capacità di analisi. Tempistiche d’azione da Terminator che hanno permesso ai compagni di beneficiare di un punto di riferimento assoluto nell’economia del gioco.

Uomo simbolo

In un celebre monologo Carmelo Bene sosteneva che «dove iniziano gli altari finisce la misura». Nel nostro piccolo, seguiamo il consiglio dello straordinario attore pugliese. Lungi da noi dunque idolatrare personaggi, a prescindere dalla categoria a cui appartengono. Nella prosaicità del calcio, tuttavia è innegabile che nel piccolo-grande mondo a cui appartiene Pellissier lui rappresenti molto più che un semplice atleta dalle doti sopra la media. In un’epoca in cui non è sempre semplice individuare esempi virtuosi e centri di gravità permanenti, fuori e dentro il campo Sergio può essere a ragione una fonte d’ispirazione per come è riuscito a regalarsi e regalare enormi soddisfazioni. Non necessariamente – sia chiaro – nel proprio ambito lavorativo.

Ha innanzitutto dimostrato che se si ama la propria professione si può arrivare lontano e che per emergere occorre innanzitutto contare sulle proprie forze. Applicarsi quotidianamente, lavorare sodo e saper mettere alle spalle i momenti no e le persone percepite come negative. Pellissier ha esplicitato quanto sia importante approcciarsi alla quotidianità con umiltà, costanza e perseveranza. Lungo tutta la sua carriera è stato sostenuto da uno spirito di sacrificio non comune, dagli affetti e dalla voglia di alzare sempre, poco a poco, l’asticella dei propri obiettivi. E in fondo, anche quella dei propri sogni.

 
(Foto AC ChievoVerona / Renzo Udali)