Si avvicina all’ultima settimana di esposizione la mostra di Monica MazzoneLe buone intenzioni”, all’Atelier Alice Voglino di Corso Milano 23. Fino a sabato 12 giugno il progetto della giovane milanese, divisa tra Italia e New York, propone una ricerca poco praticata nel contemporaneo italiano (visite su appuntamento, per prenotazioni tel. 3407998911, email info@alicevoglino.com, ndr). Classe 1984, Mazzone lavora con la geometria come veicolo dell’atto creativo ed esprime un linguaggio in costante tensione tra rigore formale ed energia del colore.

Questo è il secondo appuntamento organizzato dall’atelier insieme alla Galleria Manuel Zoia di Milano e curato da Cristina Cuttica. Dalla collaborazione nascono dei dialoghi tra le opere della pittrice veronese e padrona di casa, improntati sulle potenzialità del colore, e i lavori di altri giovani artisti che impiegano linguaggi e tecniche differenti. Occasioni di incontro sui temi del contemporaneo che favoriscono una riflessione non solo strettamente artistica, ma che si espandono alle questioni profonde dell’identità umana.

Geometria come guida dell’atto creativo

Accademia di Brera, poi Istituto europeo del design, studi di filosofia, con un amore profondo per gli antichi egizi: le coordinate di Monica Mazzone si delineano lungo un percorso particolare, che parte dai primi studi al liceo scientifico, con le vittorie alle olimpiadi della matematica e la passione consolidata per un codice interpretativo del reale, quello fatto di numeri, di costanti, di analisi, che oggi fa da trama del suo lavoro artistico.

Monica Mazzone davanti a un suo lavoro presentato alla Nars Foundation di New York

«Guardo alcuni minimalisti come Fred Sandback, Robert Irwin, perché la loro ricerca si sviluppa comunque in termini pittorici – spiega l’artista -. La presenza del medium con cui ingaggiare una specie di sfida per arrivare alla de-personalizzazione è una tensione che mi piace. Tanto che percepisco le mie immagini come tridimensionali: lavoro anche l’alluminio in scultura, perché per me c’è continuità tra bi- e tridimensione. Un po’ come gli Egizi: la figurazione in due dimensioni per loro era dovuta anche al fatto che con i geroglifici rappresentavano i suoni, che per i loro canoni non potevano essere raffigurati in tre dimensioni. E la loro stessa cosmologia e la matematica applicata per costruire le piramidi partiva da un assunto spirituale. C’è un continuo confronto tra linguaggio e forma.»

Non si rifà tanto a Kandinskij, molto di più le interessano i filosofi greci, Parmenide e Pitagora. «Mi affascina la risoluzione dei cinque problemi euclidei per i quali non c’è soluzione, se non con lo studio dell’iperbole. Così è nata questa mostra: volevo creare qualcosa che fosse finito in uno spazio piccolo. In una residenza al Mass MoCa, (uno dei musei più importanti degli Usa, ndr) avevo iniziato uno studio che qui si è moltiplicato, sebbene ogni lavoro sia percepito come singolo.»

Tra bi- e tridimensione

Il fulcro della costruzione della mostra è la scultura tridimensionale al centro dello spazio: un foglio di alluminio che si sostiene a incastri e bilanciamenti, piegato a mano. Un lavoro impegnativo che mira alla perfezione senza raggiungerla del tutto, così come accade sulle tele, con l’olio steso a velature essenziali, «dalle quali cerco di togliere la gestualità. Non amo essere presente nei miei lavori se non nei colori e nelle forme.»

Uno scorcio della mostra “Le buone intenzioni”, aperta fino al 12 giugno all’Atelier Alice Voglino di Verona

Mazzone aspira all’assenza del gesto usando un medium di difficile controllo. «L’olio è difficile, – continua l’artista – però mi permette di provare a non lasciare traccia, m’interessa tendere a una de-personificazione per far vivere le forme. Sono presente il minimo possibile, infatti arrivo ad una quantità di colore sottraendolo quanto basta, fino al limite dell’assenza. Il processo, da ideazione a esecuzione, deve seguire una tautologia: mi devo ritrovare nel gesto e nel concetto.»

Un gesto ridotto alla sua funzione minima, quella di tracciare la forma a mano libera, alla ricerca di una precisione che è aspirazione, ma che fa stare nel processo anche chi osserva il quadro finito, grazie alle vibrazioni che si notano in minimi andamenti formali.

«Mi metto sotto pressione per contenere l’emotività – afferma Mazzone -. A dispetto delle mie opere sono molto passionale e istintiva, quindi questo percorso mi permette di razionalizzare. Faccio pratiche meditative per il controllo del respiro che mi consentano di eseguire bene i perimetri. E poi ho un approccio spirituale, il mio modo di lavorare è pure ricerca spirituale. Anche attendere che il colore asciughi mi piace: rifletto ed esco dal confort dei numeri per stare in osservazione».

Lo spazio: misura, regola e arbitrio

Le buone intenzioni” è una mostra che si rapporta strettamente allo luogo espositivo: le forme create nascono dalla proporzione tra lo spazio corporeo occupato dall’artista e l’ambiente in cui le opere si rapportano. «Non sono forme arbitrarie e indipendenti: mi dò delle regole che poi originano espressioni matematiche, derivate da proporzioni mie e dalle dimensioni del luogo dove devo lavorare. Da questi numeri creo un’espressione, un logaritmo, a volte un algoritmo, che a loro volta originano forme specifiche. Dalla misurazione fisica dello spazio creo delle costanti: mi interessa arrivare al corto circuito tra una regola che segue un principio matematico e la sua arbitrarietà, perché comunque si tratta di una regola inventata. Non è un dato incontrovertibile che io debba essere in relazione allo spazio, decido semplicemente che sia un parametro. Ma una volta decisi questi punti, poi la regola funziona da sola. E a questo associo l’ossimoro tra verde e viola, colori che nascono da una predilezione personale e che si muovono con la rigidità del disegno: la figura del quadro nasce dalla tensione tra queste direttrici.»

Sul piano del colore, il progetto veronese per la prima volta mette l’artista alla prova con il procedere a partire da fondi scuri. Una prova che in primis è di natura tecnica, per la difficoltà di ottenere velature essenziali ragionando la contrario rispetto al processo ordinario. Ma anche una sperimentazione che dà alle forme una collocazione più definita nello spazio del quadro e dare ritmo alla figura, grazie alla dimensione occupata da un grigio che, per la stessa autrice, assume un valore paragonabile alla pausa musicale.

Due oli su tela progettati per “Le buone intenzioni”, mostra di Monica Mazzone, 2021, foto di Marco Ambrosi

Per quanto riguarda il sistema dell’arte, la differenza di accoglienza del suo lavoro è di altro registro in Italia rispetto agli Usa. «Qui molti considerano freddo il mio linguaggio, pur nascendo da un forte controllo delle mie energie. Negli Stati Uniti riscontro maggiore curiosità – conclude Mazzone -. A Milano sto respirando un certo fermento, in questi mesi in cui sono dovuta restare in Italia dopo cinque anni passati a New York. Mi sento chiamata a esprimere il mio punto di vista come artista, ma non in chiave sociale. Non critico chi tratta temi di impegno civile, ad esempio. Semplicemente credo che l’arte chiami a esprimere un linguaggio che non c’è, che sta solo nella tua testa. E rispondere a questo invito mi pare sufficiente come chiave di lettura della realtà.»  

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