La prima settimana della Corsa Rosa ha sempre un fascino particolare. Come rivedere un vecchio amico dopo anni e trovarlo affatto cambiato, così il Giro di anno in anno ritrova le strade d’Italia e i suoi scorci, la toponomastica più famosa che racconta di gesta eroiche, ma soprattutto i suoi tifosi, anche se confinati davanti al televisore.

Nelle prime tappe, contrariamente al Tour de France, non ci si annoia mai e si intuisce già chi non potrà gareggiare per la vittoria finale. Quest’anno sono Pavel Sivakov e Mikel Landa i primi due favoriti a terminare la gara anzitempo a causa delle rispettive cadute, mentre Joao Almeyda è il primo a staccarsi per mancanza della giusta gamba. Purtroppo, al di là del nervosismo e della disattenzione dei corridori, ossessivamente alla ricerca delle posizioni migliori in gruppo nei finali di tappa, lo smodato proliferare di rotonde e restringimenti che ha caratterizzato i piani urbanistici e stradali nell’ultimo ventennio, rende complesso il lavoro di ideazione di percorsi di gara sicuri. Un tema questo che sembra non avere soluzione: tanto più è scorrevole il percorso, tanto più veloce va il gruppo, tanto più è nervoso e irregolare il tracciato, tanto più aumentano i rischi per i corridori. Medesima evoluzione ha avuto lo sci alpino, sempre più veloce e in apparenza sicuro con piste lavorate alla perfezione, ma anche sempre più a rischio di incidenti gravi causati dall’elevata velocità. L’unica soluzione che appare percorribile è quella di far emergere il prima possibile il divario tra i vari atleti, in modo che i finali di corsa interessino solo a una parte del gruppo a seconda del tipo di tappa. In ogni caso il ciclismo rimane uno sport pericoloso, in gara e in allenamento, in cui l’esasperata ricerca della prestazione sportiva, per quanto spettacolare sia e per quanto funzionale possa essere alle carriere dei singoli, rimane la principale causa di incidente.

Tornando alla cronaca di corsa, avvincenti e dai panorami mozzafiato sono state le due tappe appenniniche. Se i tapponi dolomitici hanno reso famoso il Giro in tutto il mondo e selezionato i suoi eroi fin dalle prime edizioni, quando la Corsa Rosa attraversa la dorsale appenninica si manifesta nella sua forma più intima e più autentica. Borghi medievali a ogni curva, boschi infiniti, culla di una biodiversità unica, visi e profili sui balconi che trasudano di italianità, quella più viva, quella che ancora richiama al mai risolto conflitto della guerra civile e delle lotte partigiane. Gli Appennini sono terra di imboscate per eccellenza. Nella storia come nel ciclismo. Nella Piacenza-Sestola, quarta tappa, si è rischiato davvero un terremoto. Poteva verificarsi uno scenario del tutto simile a tappe come l’Aquila 2010 o 1954, giornate che rimarranno negli annali come emblema delle fughe bidone. Se bidone non è stato, lo si deve al super lavoro di Filippo Ganna, in maglia rosa per tre giorni grazie a un eccellente cronometro d’esordio, che si è prodigato per ridurre lo svantaggio del gruppo dai fuggitivi a favore delle ambizioni del suo capitano Egan Bernal, il principale favorito per la vittoria finale.
La Grotte di Frasassi – Ascoli Piceno non è stata da meno in quanto a spettacolo, specie nel passaggio sui ventosi e desolati altopiani di Castelluccio. I corridori, tra case terremotate, pendii privi di vegetazione e discese inondate da scrosci primaverili, attraverso l’incessante pedalare e il loro frazionarsi in mille ventagli, hanno inviato nelle case degli italiani struggenti immagini che non possono non aver distratto lo spettatore dal risultato sportivo.

Il borsino dei favoriti dopo la sesta tappa: Egan Bernal 35% – Remco Evenepoel 30%, – Alexsandr Vlasov 15% – Altri 20%.
Il miglior Italiano in classifica: Damiano Caruso a 41 secondi.

Pillole dal Giro


– Scoop alla vigilia della partenza da Torino. Alberto Angela dirottato da Ulisse al Giro d’Italia. Racconterà la storia d’Italia ripercorrendo la millenaria serie di sfighe di Pozzovivo e Landa.
– Banderuole: dal “Ganna non ha la forma dell’anno scorso”, “Ganna è bollito”, al “Ganna deve provare la Roubaix”, “è il nuovo Indurain” per finire al “Ganna, dopo aver battuto il record dell’ora, passa da casa mia che ho una perdita in bagno”.
– Pulizie. Oggi i ciclisti sono puliti. Molti dei dopati di un tempo sono stati confinati in ammiraglia.
– Momento triste. Se Cristo si è fermato a Eboli, la carriera di Nibali si è fermata tra i fumogeni dell’Alpe d’Huez 2018.
– La maglia Rosa che tira per 50 km in testa al gruppo senza ricevere cambi (Ganna) è un po’ come se il CT della Nazionale si sedesse in moto come inviato di corsa (Cassani).
– Da nuovo disoccupato aveva appena fatto richiesta per il reddito di cittadinanza, ma ora dovrà ritirarla (Van der Hoorn).
– A Bibbiano (tappa di Sestola) qualcuno disse: “parlateci dell’Aquila 1954 o 2010”. Gruppo avvisato e terremoto, o fuga bidone, non fu.
– In pandemia, colto dalla noia, aveva “scalato” l’Everest sui rulli e poi non si era più ripreso. A distanza di 12 mesi, Giulio Ciccone torna a scattare in salita e a farci sognare. Speriamo che non abbia in programma la traversata Everest-Lhotse.