“Come cambiare una squadra in un mese (for dummies)”: se Sean Sogliano dovesse mai stancarsi di fare il direttore sportivo potrebbe scrivere un manuale su come si inverte una spirale negativa. Prima della pausa mondiale, il mondo Hellas era intrappolato in un tragico circolo vizioso in cui la confusione del progetto di inizio stagione aveva causato una perdita di fiducia ed entusiasmo dentro e intorno al club, con gravi mancanze tecniche in punti nevralgici del campo e giocatori chiave ridotti all’ombra di se stessi.

In poche settimane il lavoro di Sogliano è riuscito a invertire questo trend, e la gara contro la Lazio è stata la realizzazione definitiva di questo progetto di rianimazione. Il Verona oggi è una squadra viva, in fiducia, consapevole tanto della propria forza quanto della difficoltà della propria missione.

Nella conferenza stampa di fine mercato il diesse gialloblù ha spinto soprattutto sulla mentalità, sul cuore dei giocatori che arrivano e che restano. Giusto così. Il cuore è quello che ha consentito al Verona di passare indenne un momento delicatissimo: la ripresa del campionato a mercato aperto, quando l’organico a disposizione era lo stesso del disastroso girone di andata, e lo spogliatoio si è rimesso in piedi con le sue forze, seguendo un progetto tecnico finalmente chiaro e sensato, e facendosi strigliare per bene da qualche urlaccio ben distribuito.

Il cuore è stato il primo ingrediente per invertire la rotta e riportare l’entusiasmo, ma Sogliano ha capito subito che i problemi di organico non potevano essere ignorati. Gli interventi sono stati chirurgici. Giocatori scelti per il cuore – va bene – ma scelti da un direttore che conosce il gioco del calcio e gli uomini che lo praticano. Passione e tecnica. Strategia e sentimento. Tutto quello che al Verona mancava.

L’Hellas cambia pelle

Il lunedì sera – l’ennesimo – del Bentegodi ha visto in campo questo nuovo Verona, con la nuova qualità e il nuovo cuore.

La Lazio ha impressionato con la qualità nel possesso, specialmente nel primo tempo quando le energie abbondavano. Il gigante Sergej tiene tutti i palloni ed è sempre pericoloso, Zaccagni, Luis Alberto e Pedro hanno talento da vendere e sanno farti sparire la sfera da sotto il naso, e poi c’è Immobile che ti può punire in qualsiasi momento.

Di fronte a un avversario così il nuovo Verona non va in affanno nemmeno per un istante. Copre, controlla, fa correre la Lazio su e giù per il campo. Le fasce, con Magnani ad arginare Zaccagni, sono di proprietà esclusiva dei gialloblù. Doig corre per quattro, copre come un terzino e crossa come un’ala, Depaoli è un filo meno ordinato ma quando è in fiducia è in grado di non far rimpiangere Faraoni, non è roba da tutti.

Milan Djuric, il punto di riferimento offensivo su cui si è poggiato il nuovo equilibrio dei gialloblù non è neanche in panchina. Tocca reinventarsi per l’ennesima volta. E allora è Paperino Lasagna che fa la punta centrale. La squadra si adatta, la palla non è più addosso a cercare la sponda ma va direttamente sulle fasce. I difensori dialogano con una tranquillità che non si era mai vista quest’anno e tengono i nervi saldi di fronte al pressing asfissiante dei biancocelesti.

Resurrezioni collettive e innesti mirati

La ritrovata fiducia recupera completamente pedine fondamentali: Lazovic è tornato ad essere quel valore aggiunto visto negli anni passati, nel ruolo di seconda punta si trova alla perfezione con un palo e un assist a referto dopo i gol delle ultime uscite, Tameze – vicino a Duda – ha lottato, conquistato e protetto tutti i palloni possibili, come lo spettacolare tuttocampista che ricordavamo e che si era perduto in una mezza stagione di follia. Persino Montipò, a cui va il grande merito di non essere mai crollato psicologicamente sotto la montagna di gol subiti nella prima parte di campionato, ha dimostrato di saper usare i piedi tenendo in campo tutti i rilanci. Una resurrezione collettiva che dimostra ancora una volta il potere delle motivazioni

Le motivazioni, però, sono condizione necessaria ma non sufficiente per salvarsi in serie A. I nuovi arrivi hanno portato qualità e freschezza nei punti giusti. Duda ha preso il posto che era di Ilic al centro del campo, con un po’ di esperienza e di fisicità in più. Quell’esperienza e intensità che – forse – a una squadra che deve fare l’impresa serve più del talentino in prospettiva.

Davanti, accanto al solito Lasagna, uno che pare davvero un crack. Il giovane Ngonge si è presentato davanti a un Bentegodi sopra le ventimila presenze e l’ha fatto con la sfrontatezza che ci si aspetta da un attaccante. Dribbling, testa alta, tiro, penetrazione, gol. Nessun timore negli occhi del giovane belga. Attendiamo conferme ma le premesse sono ottime.

Il Verona ha tenuto alla grande per un tempo in cui la Lazio ha dimostrato tutta la sua forza. Ha rischiato qualcosa ma ha anche avuto occasioni. Il gol preso a pochi istanti dalla pausa avrebbe steso il vecchio Verona dando il via a una carneficina calcistica. Non questo Hellas. I gialloblù rientrano in campo con la giusta combinazione di fame, rabbia e lucidità. Quindici minuti di fuoco: è pareggio e poteva essere di più. Lo dirà Sarri dopo la partita: nei primi quindici del secondo tempo ha temuto di perderla.

Infine i cambi. Per l’intero girone di andata i cambi del Verona sono sempre coincisi con un tracollo nel tasso tecnico degli undici in campo, forse per lacune tecniche della rosa, forse per una nuvola fantozziana che aleggiava sulla squadra, probabilmente per entrambe le ragioni. Il nuovo Verona visto contro la Lazio ha dimostrato di poter contare sull’intera panchina, come ha detto Sogliano: è rimasto solo chi ci crede.

La classifica ancora non sorride. Guai a pensare che l’impresa sia a portata di mano solo perché – obiettivamente – la squadra vista contro la Lazio non può retrocedere in questa Serie A. Il cammino è lungo, ci saranno sconfitte e momenti di sconforto, ma questo gruppo è riuscito a rialzarsi e a combattere, Verona è già tornata a divertirsi, e quando Verona si diverte può succedere di tutto.

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