Mezzo secolo fa, le olimpiadi che cambiarono il mondo

Una mattina d’ottobre, come cinquant’anni fa. La puntina graffia sul vecchio vinile, e già avverti un tepore che ti sale da dentro, come non ti succedeva da un po’. Quando partono i rulli delle percussioni ad introdurre la voce sfrontata di Mick Jagger, ti accendi sulle note di Sympathy for The Devil. Quel graffio è in realtà un ruggito: se è da quando sei nato che ti dicono di stargli alla larga, che non va bene, che non si fa, ma poi arriva il giorno in cui il patto con il diavolo lo fai e scopri che così male non è, e ti sta pure simpatico, hai già detto tutto. Benvenuti nel 1968. 

Inquietudine, rifiuto dello status quo e dei suoi assiomi, l’irrefrenabile desiderio di abbattere gli steccati per andare oltre e aprire una fase nuova. Il ’68 fu un ciclone, peraltro ampiamente annunciato dai meteorologi dell’epoca, che travolse ogni archetipo. Fu energia dopo anni di stanco piattume. Mentre oltre oceano nei campus californiani i giovani invocavano in massa la fine di una guerra assurda nella quale loro coetanei in uniforme continuavano a morire per non si sa che cosa nelle giungle del Vietnam, dagli atenei di Parigi gli studenti uscivano in strada a manifestare la propria rabbia. Termini come «impegno» e «partecipazione» divennero i punti cardine nel manifesto della nouvelle vague. Una generazione reclamò a gran voce il diritto di vivere come voleva e non come altri avrebbero voluto. Le certezze caddero come birilli sotto strike sulla pedana del bowling. In quel Big Bang tutto fu messo in discussione. Il prezzo ebbe effetti drammatici: la lotta a favore dei diritti civili costò la vita a Martin Luther King e Bob Kennedy; a Praga il sogno di libertà rimase schiacciato sotto i carri armati sovietici e immortalato nelle fiamme che avvolsero il corpo di Jan Palach immolatosi nel rogo di Piazza San Venceslao. Musica e cinema firmarono colonna sonora e pellicola. Lo sport fece la sua parte, da attore protagonista. Ciak si gira.

Le olimpiadi messicane del 1968  segnarono un solco, perché nulla fu più come prima. Furono precedute dall’orrore del sangue di Piazza delle Tre culture a Città del Messico, dove la protesta degli studenti contro le spese fuori controllo sostenute dal governo (dal ’36 in poi le olimpiadi sono sempre state utilizzate dal potere, sporco o pulito che fosse, come efficace strumento di propaganda), finì in massacro. Oriana Fallaci, ferita, ne fu testimone. Vennero poi i giorni della gare sotto il braciere ardente e lo sventolio della bandiera a cinque cerchi.

 

La polizia messicana in stato di anti sommossa si prepara a reprimere la manifestazione degli studenti in Piazza delle Tre Culture

Sebbene mai comunicato, il numero delle vittime raggiunse qualche centinaio

 
 
 
 
 
 
 
 

Approfittando della rarefazione dell’aria in altura, due voli, uno in lungo e l’altro in alto, contraddistinsero quell’olimpiade come allegorici fotogrammi di balzi verso il futuro. Con la stupefacente misura di 8,90 Bob Beamon stabilì il nuovo primato mondiale di salto in lungo superando il vecchio limite di ben 55 centimetri: quel record sarebbe durato la bellezza di 23 anni. Uno spilungone dinoccolato dell’Oregon, Dick Fosbury, mandò in frantumi i preconcetti e sfidò le leggi della fisica nell’alto superando l’asticella di schiena dopo una rincorsa di otto passi. Fu così che nello scalpore generale nacque il «Fosbury». Avrebbe fatto scuola. Nel suo folle volo vedi oggi tutta l’irriverenza e la creatività di quel periodo. L’Italia chiuse con 3 medaglie d’oro, 4 d’argento, e 9 di bronzo. Non un successone. Fu un’olimpiade amara per il triplista azzurro Giuseppe Gentile, pronipote del celebre filosofo e ministro dell’istruzione in era fascista Giovanni Gentile. Il barbuto atleta romano chiuse le qualificazioni del triplo facendo registrare il nuovo primato del mondo, ma in gara si dovette accontentare del bronzo in quanto il sovietico Viktor Sanaev e il brasiliano Nelson Prudencio riuscirono a fare addirittura meglio.

Il volo di Bob Beamon: 8,90, oro e nuovo record mondiale. Rimarrà imbattuto fino al 1991

Il colpo di reni di Dick Fosbury. Una nuova era ha inizio

Il bronzo di Giuseppe Gentile nel triplo. Nelle qualificazioni aveva stabilito il nuovo primato mondiale con la misura di 17,10 mt

Altro furono i pugni alzati di Tommy Smith e John Carlos sul podio dei 200 mt in segno di protesta contro la discriminazione razziale. I due sprinter americani incassarono la solidarietà del terzo classificato, l’australiano Peter Norman, che sul petto portava una spilla in difesa dei diritti umani. In quel momento non poteva immaginare a cosa sarebbe andato incontro. Al ritorno in patria, in un paese dove serpeggiava il razzismo, gliela fecero pagare. Pur qualificato, Norman fu escluso dalle olimpiadi di Monaco del 1972; gli riservarono l’oblio. Pur essendo stato il velocista australiano più forte di tutti i tempi, ai giochi di casa del 2000 a Sidney il suo nome venne del tutto ignorato. Scomparso per un infarto a 64 anni nel 2006, al suo funerale Smith e Carlos portarono la bara. Si sarebbe dovuto attendere fino al 2012 perché il governo australiano si decidesse finalmente a porre fine alla vergogna e rendergli quell’onore che gli spettava. Simile fu il caso della ginnasta cecoslovacca Vera Caslavska. Esplicita sostenitrice della Primavera di Dubcek, all’olimpiade vinse tre ori, nelle parallele, nel volteggio, e nel concorso individuale. Una sconcertante decisione della giuria la costrinse a condividere il quarto oro con la sovietica Larissa Petrik nel corpo libero. Sul podio, durante la premiazione la cecoslovacca chinò il capo e si rifiutò di porgere lo sguardo verso la bandiera rossa con la falce e martello simbolo dell’oppressore. Quell’immagine di dissenso fece il giro del mondo. Il regime gliela giurò e costrinse la Caslavska al forzato ritiro e alla scomparsa dalle scene. Riabilitata dopo la caduta della cortina di ferro, Vera Caslavska è deceduta due anni fa per un tumore al pancreas. Ad oggi è la più decorata ginnasta ceca di sempre con sette ori e quattro argenti olimpici.

Pugni alzati in guanti neri. Il podio della contestazione. Peter Norman con la spilla dei diritti umani sul petto

Vera Caslavska

Tutto questo, mezzo secolo fa. Intanto, le note di Sympathy for the Devil si sfilano all’ultimo giro di vinile. Fine dell’excursus: è ora di alzare la puntina e riporre il disco nella custodia.  Giusto il tempo di pensare che sì, che questa era tutto sommato la ballata giusta per raccontare una storia così e che in fondo le olimpiadi in Messico non furono che un film in cui il diavolo tenne per sé i ruoli di sceneggiatore e regista. Avevo appena due anni, nulla più che una creatura in fasce, mezzo secolo fa. Quando parecchio tempo dopo mi raccontarono cosa accadde e mi dissero che quello fu l’anno che cambiò il volto al mondo, superata la fase d’iniziale diffidenza compresi che a loro modo mi avevano detto il vero e che non solo il diavolo c’è, ma bisogna pure trovare il modo di andarci d’accordo. Meglio non scordarlo mai perché noi umani, volenti o nolenti, tanto ce l’abbiamo dentro. Diversamente, tutto questo non sarebbe successo. O almeno credo…

Lorenzo Fabiano @lollofab