L’Eurovision contest è davvero un oggetto mediatico affascinante: un caleidoscopio kitsch di bandiere, costumi e identità che a volte sfiora il surreale, tra mostri finlandesi, nonnine russe che sfornano biscotti sul palco e – beh – Toto Cutugno.

Negli ultimi anni l’interesse per l’evento è cresciuto anche in Italia dopo un lungo oblio, e dal punto di vista dello spettacolo senz’altro surclassa il nostro Festival di Sanremo, dal quale è stato praticamente copiato nel lontano 1954. 

Nella sua farsesca esagerazione, però, l’Eurovision è problematico anche dal punto di vista simbolico e culturale. Dovrebbe rappresentare il motto dell’Unione Europea “uniti nella diversità”, eppure richiede un’adesione totale a valori che non sono così ampiamente condivisi, in particolare nell’Europa orientale.

Ufficialmente cerca di rifuggire le controversie politiche, eppure ogni anno viene stilata una lista di bandiere vietate, tra cui quella palestinese e kosovara. Insomma, le contraddizioni non mancano. 

La Bielorussia non può cantare

Quest’anno la gatta da pelare è la Bielorussia, attraversata da proteste e repressioni in seguito all’elezione a valanga del presidente-dittatore Lukashenko, considerata falsata dagli osservatori internazionali. 

A partecipare all’Eurovison 2021 per la Bielorussia doveva essere il duo VAL, che già aveva calcato il palco nell’edizione di Rotterdam nel 2020, ma l’emittente nazionale BTRC, in seguito ad alcune dichiarazioni del duo a favore dei manifestanti antigovernativi, ha deciso di sostituirli con una band appena formata, i Galasy Z Mesta, e con una canzone dal titolo abbastanza minaccioso: ya nauchu tebya, “ti insegnerò”. 

Proteste a Minsk – Agosto 2020, foto Melirius CC BY-SA 4.0

Immediatamente l’EBU (European Broadcasting Union) ha reagito chiedendo inizialmente alla Bielorussia di presentare una nuova canzone in quanto il brano avrebbe «minacciato la natura apolitica del festival», per poi rifiutare anche la seconda canzone proposta dalla Bielorussia, intitolata Canzone sulle lepri, di fatto squalificando il Paese. 

Questi i fatti. Ma cosa mai avranno scritto questi Galasy Z Mesta per meritare il gran rifiuto? Preso dalla curiosità mi sono gettato su internet per cercare una traduzione del testo della canzone e, soprattutto, quali fossero le critiche degli organizzatori.

Il testo incriminato

Una delle accuse fatte al brano è di essere «vagamente minaccioso nei confronti dei manifestanti a favore della democrazia», con frasi come “Ti insegnerò a stare in riga” e “Tutto sarà semplice, devi solo obbedirmi”. Per di più sembra che i membri della band abbiano pubblicamente criticato o deriso i partecipanti alle manifestazioni antigovernative. 

Qualcosa però non mi convince. Per quale motivo la tv di Stato di una dittatura sotto scrutinio dell’Unione Europea per la repressione violenta delle proteste pacifiche manderebbe in eurovisione un brano che minaccia apertamente i dissidenti? Com’è possibile che, nel 2021, un’operazione di comunicazione come la partecipazione all’Eurovision sia trattata da un dittatore in modo così rozzo? 

Per trovare le risposte basta cercare il testo completo della canzone. Il tono sarcastico è evidente persino in traduzione: “guarda avanti, dimentica il passato”, “senza passato tutto sarà più semplice”, “un mondo libero è inevitabile, il retrogrado è inaccettabile“. E poi il ritornello, quello riportato da tutti i giornali europei, “ti insegnerò a ballare a tempo, ti insegnerò a stare in riga, ti insegnerò ad abboccare all’amo”.

Quale dittatura ordinerebbe esplicitamente ai propri cittadini o sudditi di abboccare all’amo della propria propaganda? E per di più in eurovisione? Siamo sicuri che il cantante non stia denunciando le minacce di qualcun altro?

Non c’è dubbio che la band Galasy Z Mesta sostenga e sia sostenuta dal regime di Lukashenko, ma evidentemente c’è di più. Per avere un’idea più precisa bisogna fare un passo indietro e guardare l’Europa orientale nel suo insieme, lavoro tutt’altro che semplice data l’estrema polarizzazione delle fonti. 

Se le ricerche pubblicate dai think tank più vicini all’occidente e al cosiddetto establishment dell’Unione Europea parlano dell’Est Europa come di un “parco giochi per i populisti ultraconservatori”, i media più vicini all’influenza russa raccontano di una EU schiava degli USA che intende trasformare i Paesi del blocco di Visegrad in una frontiera NATO proprio sotto il naso di Putin. 

Open up: un motto apolitico?

Difficile trovare un punto di equilibrio, ma di certo emerge da tutte le ricerche una reticenza da parte delle popolazioni est europee ad accettare il secolarismo globalizzato che, guarda un po’, sembra proprio essere il cuore pulsante di quei valori europei promulgati anche dall’Eurovision. 

A riprova di ciò, il nome scelto dagli organizzatori per l’edizione di quest’anno è open up” , con un aggettivo – open – che negli ultimi è diventato parola chiave del lessico liberal su entrambe le sponde dell’Atlantico, dagli open borders alla open society – e quindi altro che “natura apolitica del festival”.

Questa idea di società aperta e lo standard occidentale dei diritti civili non sono automaticamente accettati dall’opinione pubblica ampiamente conservatrice e tradizionalista dei paesi dell’Europa orientale, che non vede di buon occhio il sistema capitalista occidentale. E in questa luce possiamo finalmente leggere un verso della canzone incriminata del gruppo bielorusso: “Guarda questi frutti succosi, sogna di nuove campane e fischietti, li puoi pagare con carta di credito!”  

Sembra evidente, allora, che a minacciare nella canzone dei Galasy Z Mesta non sia il regime ma il capitalismo globalizzato, e che ad essere minacciati non siano i manifestanti per la democrazia, ma la parte più identitaria, tradizionalista e ortodossa che più strizza l’occhio alla Russia, perché “un mondo libero è inevitabile, il retrogrado è inaccettabile”.

In questo senso mettere pressione ai dittatori come Lukashenko, evitando che trovino una sponda mediatica in contesti come l’Eurovision è senz’altro un’idea positiva, se non necessaria, ma ignorare le istanze culturali di una parte dell’Europa cercando di imporre un modello occidentale percepito come statunitense, avrà il solo effetto di spingere questi Paesi tra le braccia di Putin, andando a indebolire ancora di più l’eterno progetto europeo. 

Con tanti saluti a “Uniti nella diversità”. 

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