L’idea di istituirla compirebbe oggi 60 anni: la giornata mondiale del Teatro fu pensata infatti nel 1961 a Vienna durante il IX Congresso mondiale dell’Istituto Internazionale del Teatro su proposta dello scrittore finlandese Arvi Kivimaa. Festeggiata poi dall’anno successivo, nel 2021 porta addosso la prostrazione di tutto un settore. Ma anche il senso di vuoto degli spettatori, degli appassionati e dei fruitori occasionali.

Quel sipario chiuso è una barriera, un recinto. E l’intermezzo che ci sta in qualche modo intrattenendo è sempre meno appassionante: non si contano i video su Youtube con cui le compagnie, i teatri stessi, gli attori cercando di mantenere un contatto con il pubblico.

C’è anche chi ha scommesso parte della propria sopravvivenza progettando spettacoli da fruire online, con esiti anche positivi. Ma nessuno pensa che sia meglio, che l’ipotesi di una Netflix della cultura sia una svolta del tutto positiva.

Un messaggio che risuona anche nel teatro veronese

Il messaggio che ogni anno viene condiviso in questa giornata fa parte del divenire culturale umano, ma forse quello di Hellen Mirren, incaricata quest’anno a diffondere una qualche speranza di ripartenza, è il più ascoltato.

«L’urgenza creativa di scrittori, designer, danzatori, cantanti, attori, musicisti, registi non sarà mai soffocata e nel prossimo futuro rifiorirà con una nuova energia e una nuova comprensione del mondo che noi tutti condividiamo. Non vedo l’ora!».

A Verona il messaggio completo è stato letto dal direttore artistico del Teatro Nuovo, Piermario Vescovo, in un palcoscenico svuotato. Difficile non provare una desolazione profonda, carica di aspettative che sembrano quasi impossibili da realizzare.

Eppure sono tempi, mesi, in cui chi vive, chi fa il teatro – che è un mondo incontenibile, denso di espressioni, manifestazioni – non ha smesso di progettare, in tempi in cui non è semplice dire cosa sarà domani. Se quella data si farà, se si aprirà, si chiuderà. Questa sera sarebbe molto bello che alle 21.30 chi è abituato a sedersi nelle poltroncine in velluto dei teatri, di città o di paese, andasse sulla pagina Facebook di Peschiera del Garda, eventi in scena per seguire l’ultima puntata di un progetto coraggioso.

Vuoto di scena”, ideato dalla Nuova compagnia teatrale di Enzo Rapisarda, con soggetto e sceneggiatura di Anna Rapisarda e Mario Cuccaro, quasi scaramanticamente oggi arriva alla sua conclusione. Un film progettato grazie all’apporto di un’amministrazione che ha creduto di poter produrre e proporre cultura, nonostante tutto. Bene anche ricordarsi che non si smette di essere pubblico, nonostante il distacco.

La locandina di Vuoto di scena, film in cinque puntate realizzato dalla Nuova compagnia teatrale di Enzo Rapisarda

Spettacolo, siamo oltre l’urgenza

Ieri a Bari si è manifestato con 110 sepolcri bianchi in piazza Prefettura, sui quali poggiavano parti di attrezzature per gli allestimenti non utilizzate da tanti mesi. Un funerale per lo spettacolo, che questa mattina è diventato occupazione al Piccolo Teatro Grassi di Milano, per opera del Coordinamento spettacolo Lombardia. Gli occupanti sono scenografi, sarti, drammaturghi, studenti, macchinisti, attori, che si sono organizzati in un parlamento culturale permanente per invitare a “un’assunzione di responsabilità condivisa e per costruire una ripartenza sostenibile da tutti, a partire dai più fragili, considerando il lavoro come centralità e motore di tutte le categorie, non solo del settore culturale”.

In questo secondo anno di celebrazione del teatro a sipari chiusi il problema occupazionale è oltre l’urgenza: un sistema che si è retto finora sulla discontinuità contrattuale e la precarietà priva di tutele si dimostra ancora più fragile, tanto da far temere che per molti sia finita la carriera nel settore.

Non che non ci siano i milioni di euro destinati alle indennità, ma è evidente che la realtà di questi professionisti non si può dire sostenuta. Se si allarga la platea dei destinatari, resta comunque esiguo il contributo e rispondere con questi strumenti vale solo in ottica emergenziale, ma non affronta i problemi.

I protocolli di sicurezza che consentano la fruizione di cultura ci sono, manca l’avanzamento della campagna vaccinale e solo allora si potrà pensare a una riapertura. Ma non sarà indolore: chi potrà permettersi di riprendere a regime comunque ridotto, con introiti minori dalla vendita dei biglietti?

Il dialogo in corso con il governo mira a includere sul piano contrattuale le figure professionali escluse finora e forse si arriverà a una regolamentazione del settore. Ma si attende che il governo proponga concretamente, tenendo conto la necessità per tanti lavoratori di avere una continuità di reddito, a fronte di una modalità di lavoro che è di per sé discontinua. E poi la lotta al lavoro nero, le tutele in caso di malattia, maternità, previdenza e del sistema di welfare in generale.

L’interno del Teatro Nuovo, foto di Osvaldo Arpaia

Intanto all’estero si progetta la riapertura

Intanto in Germania è stato avviato un progetto pilota del Dipartimento del Senato berlinese per la Cultura e l’Europa, che testa l’apertura di eventi culturali ed economici con un pubblico selezionato nella capitale. L’idea è di verificare se le misure di sicurezza possano convivere con l’emergenza sanitaria in corso. In modo da poter valutare la riapertura nelle prossime settimane, ovvero se le misure impiegate siano sufficienti perché questi eventi non costituiscano un rischio.

Nove gli eventi per il pubblico di Berlino e del Brandeburgo, compresi tra il 19 marzo e il 4 aprile: i visitatori acquistano in anticipo un biglietto personalizzato, devono superare un test gratuito dell’antigene SARS-CoV-2 in uno dei centri di analisi che partecipano al progetto il ​​giorno stesso dell’evento. All’ingresso, i visitatori mostrano l’esito negativo del test, il biglietto personalizzato e la carta d’identità. Restano ovviamente in vigore le norme igieniche e l’obbligo di mascherina Ffp2 durante lo spettacolo.

Misure che potremmo sperimentare pure in Italia e che non richiedono chissà quale teutonica organizzazione. Se solo ci si volesse provare.