«Verona da sempre considera Dante un suo poeta. E ne ha in effetti tutte le ragioni. Dante ha fatto di Verona il suo primo rifugio dopo l’esilio, ha vissuto a Verona per molti anni durante il governo di Cangrande e ha poi dedicato a Cangrande stesso l’elogio più aperto e più sentito di tutta la Commedia nel XVII canto del Paradiso, in cui lo investe del ruolo di rigeneratore della politica e della società italiana.» In occasione dei 700 anni dalla sua morte, abbiamo ricordato l’importanza di Dante e della sua Commedia con Arnaldo Soldani, professore ordinario di Linguistica italiana all’università di Verona.

Il professore Arnaldo Soldani, ordinario di Linguistica italiana all’università di Verona

Professor Soldani, nella lettera a Cangrande della Scala leggiamo che il soggetto della Divina Commedia è lo “stato delle anime dopo la morte” (§ 24). Oggi per noi questa definizione è decisamente riduttiva. Quale potremmo dire essere il senso letterale dell’opera?

«Il senso dell’opera di Dante – e questo vale per tutti i grandi classici – è in realtà già scritto dentro ciascuno di noi. I classici serbano in sé l’enorme potere di rivelare all’uomo tutto ciò che è nella sua natura più profonda. E questo vale per Dante, come per Omero, per Virgilio, per Shakespeare. Il senso della Commedia poi, più nello specifico, si coglie nel viaggio, un viaggio nell’oltretomba che presenta la realtà del mondo nella sua essenza più autentica. Il noto filologo tedesco Erich Auerbach, a proposito del realismo di Dante, affermava che la vita reale appare a noi quasi come una pallida figurazione rispetto a come appariva a Dante nell’ultraterreno. Ciò che Dante ci mostra nella sua opera è, in un certo senso, il mondo nella sua essenza distillata, un mondo quasi più reale della vita vera. E qui sta probabilmente il senso centrale della Divina Commedia: la creazione di un mondo in cui ciascuno può riconoscersi.»

T.S. Eliot diceva: “Se riusciamo a leggere la poesia come tale, crederemo nella teologia di Dante esattamente come crediamo nella realtà fisica del suo viaggio”. Il mio professore di Lettere al liceo diceva sempre che “Leggere Dante renderebbe credente anche un ateo”. In che cosa consiste il potere delle parole di Dante?

«Potremmo rispondere essenzialmente con due parole: verità e universalità. Il potere di Dante consiste nella sua capacità di rappresentare la verità, con una evidenza che non ha paragoni nella storia della tradizione occidentale. Il modo in cui scrive ha una potenza rappresentativa che sembra sovrumana, frutto di una illuminazione, proprio come pensava Elliot. Il messaggio dantesco è in grado di arrivare a tutti, al di là della condivisione delle realtà di fede che sono contenute nella Commedia. E questo accade proprio perché tutti vi si possono rispecchiare.»

La Commedia è una delle grandi opere letterarie occidentali di difficile lettura senza un appropriato commento. E il lettore medio odierno fatica a provare un piacere da qualcosa che implica uno sforzo. Perché, allora, insistere sull’importanza di Dante e, nonostante le difficoltà, studiare le sue opere in tutte le scuole?

«In effetti la questione legata alla ricezione di Dante presenta aspetti controversi e anche sorprendenti. Sicuramente molti studenti hanno vissuto l’obbligo della lettura scolastica come una condanna, ma personalmente negli ultimi anni, grazie alle celebrazioni dei 750 anni dalla nascita di Dante nel 2015 o dei 700 anni dalla morte quest’anno, in varie letture o incontri, ho avuto modo di parlare con persone di ogni età. Molte raccontano con incanto il loro primo incontro con la Commedia, altre invece l’hanno vissuto come una tortura e lo hanno poi riscoperto in età adulta. Il testo di Dante non mostra in effetti particolari complicazioni, fatta eccezione per alcuni passi di grande impegno filosofico o tecnico. C’è qualche difficoltà linguistica ovvia, ma se pensiamo che si tratta di un testo che ha ben 700 anni è anzi sorprendente che lo capiamo bene ancora oggi. Chi non capirebbe la terzina iniziale: “Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura / ché la diritta via era smarrita”? E questa possibilità di accesso diretto al testo dipende proprio dalle vicende della lingua italiana, che si è fondata ed è rimasta fedele al modello dantesco nei secoli ad oggi.»

Una piazza del Signori quasi svuotata dalla pandemia, ma in cui il monumento di Ugo Zannoni ancora svettava prima dei lavori di restauro, foto di Osvaldo Arpaia.

La Divina Commedia viene spesso definita dai manuali di letteratura un’opera di redenzione, ad indicare come Dante necessitasse, per raccontare le sue esperienze morali e la sua interiorità, di un genere più complesso di un’opera dottrinale. Come si può rendere accessibile e apprezzabile Dante e le sue opere a tutti? Perché è importante farlo?

«Lo strumento più importante è sicuramente la lettura, personale o recitata da altri. Basti pensare al potere che hanno avuto le letture di Roberto Benigni, che nella loro semplicità erano in grado di avvicinare chiunque, anche chi non sia uno specialista. Anche nella realtà veronese possiamo vantare ad esempio le letture di Alessandro Anderloni, che attirano sempre molti spettatori. Questo accade perché, alla fine, Dante è uno scrittore popolare, l’unico forse davvero popolare della letteratura italiana e che gode oggi di successo sia nella cultura alta sia in quella popolare. Per esempio, sono tantissimi gli artisti che hanno preso spunto dai suoi personaggi e dalle sue vicende per realizzare pitture, sculture, ma anche fumetti, manga, videogiochi, opere di intrattenimento a livello letterario come Inferno di Dan Brown… E noi siamo oggi in grado di riconoscerci nel suo immaginario proprio perché ha costituito un importante frammento della civiltà occidentale.»

Che cosa significa Dante per la città di Verona e, più in generale, per tutta l’Italia?

«Non è casuale l’amore che hanno sempre mostrato i veronesi a Dante. Dante si rifugiò a Verona, elogiò Cangrande nel Paradiso e a lui scrisse la sua ultima lettera, in cui gli dedicò proprio l’ultima cantica della Commedia, una lettera che ha un’importanza pregnante perché fornisce una prima esegesi del poema. Pensiamo poi a episodi come quello della statua di Ugo Zannoni, che gli è stata dedicata nel 1865, poco prima dell’annessione del Regno d’Italia, sotto gli occhi diffidenti degli Austriaci, i quali avevano imposto un’inaugurazione notturna perché temevano sedizioni nel nome di Dante e dell’Italia. Non è un caso che anche in occasione delle celebrazioni del 2021 il Ministero dei Beni Culturali abbia individuato Verona come una delle tre città della biografia dantesca a cui affidare un ruolo centrale nell’organizzazione delle iniziative, insieme a Firenze e a Ravenna.

Dante è poi da sempre uno dei simboli dell’unità nazionale, che è stata un’unità di cultura e di lingua, prima che un’unità politica. Dante ha assunto un ruolo simbolico per varie ragioni: lui stesso ha pensato per primo all’Italia come ad un Paese unitario; ci sono passi della sua opera in cui questo desiderio di unificazione è fortissimo, come nell’invettiva del VI canto del Purgatorio: “Ahi serva Italia, di dolore ostello / nave sanza nocchiere in gran tempesta / non donna di provincie, ma bordello!”.

Dante ha per così dire prefigurato quella che sarebbe poi stata l’Italia. Non dobbiamo dimenticare poi il suo ruolo nell’identificazione della lingua italiana: Dante usa il fiorentino di fine 1200 e inizio 1300 e questa stessa lingua è stata poi presa come modello fondamentale della lingua italiana, prima per letteratura e poi per la nazione.»

Per approfondire il Dantedì 2021 leggi anche –> La forza di Dante, analisi sulla potenza e il destino dell’opera dantesca del professor Stefano Quaglia

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