Non prendetemi per un difensore della “casta”. Ma da ex diplomatico non posso che apprezzare che un tratto rilevante del primo discorso di politica estera del neo-Presidente Biden sia stato quello di rimettere al centro dell’azione internazionale degli USA il Dipartimento di Stato, il loro Ministero degli Esteri. L’ex presidente Trump aveva massacrato quell’amministrazione, partendo dal presupposto, come disse una volta, che non aveva bisogno di alcun funzionario, dato che la politica estera la conosceva perfettamente. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

Non si era trattato solo di mettere in panchina il Dipartimento, ma anche di ignorare con disprezzo quel patrimonio di idee, progetti ed esperienze maturate in tanti anni. Per di più pauperizzandolo attraverso il blocco di nuove assunzioni, la mancata copertura di posti di alta responsabilità, in Patria come all’estero, l’umiliazione e la critica continua verso la “carriera”, contrapposta invece all’esaltazione dei funzionari del Pentagono o del Ministero del Commercio.

Come è noto, in USA la nomina al posto di ambasciatore può avvenire sia attraverso il percorso interno, sia per nomina politica, vale a dire pescando tra i più fidati sostenitori del Presidente. Sotto Trump sono stati molti gli esempi penosi di incompetenza e inaffidabilità quali, ad esempio, l’ultimo ambasciatore in Germania che approfittava di ogni occasione per criticare e contestare il governo, l’amministrazione e il popolo tedesco, flirtando apertamente con il partito di estrema destra AFD.

La leadership estera degli USA secondo Biden

Ma per tornare al discorso del presidente Biden, si possono rilevare quattro aspetti:

  1. L’America tornerà ad esercitare un ruolo di “leadership”mondiale; ritorno quindi al multilateralismo e al metodo della consultazione e del coordinamento delle posizioni con amici e alleati.
  2. Rimangono, come eredità trumpiane (ma anche obamiane) le contrapposizioni verso Russia e Cina, accusate di mancato rispetto dei diritti umani e di mettere in pericolo la pace mondiale con avventurismo militare o attacchi cibernetici (Russia) o con spregiudicate iniziative in campo commerciale, tecnologico e finanche militare (Cina).
  3. Il rifiuto di continuare ad appoggiare l’azione militare dei Sauditi nello Yemen, che ha causato centinaia di migliaia di vittime tra la popolazione civile e una emergenza umanitaria tanto allarmante quanto purtroppo ignorata dall’opinione pubblica mondiale.
  4. Il parallelo tra la restaurazione dell’unità e della piena democrazia nel Paese come condizione per meritare una leadership mondiale. Pensiero magari banale, ma non privo di significato dopo i fatti del 6 gennaio al Campidoglio.

Le prossime mosse sullo scacchiere internazionale  

Il nuovo ruolo dell’America, che “intende guidare il mondo con la forza dell’esempio”, ricalca il pensiero dell’ex presidente Obama. Ma Biden dovrà tener conto che il mondo è cambiato dal 2016. Due esempi tra i tanti: Germania e Giappone.

Berlino sta portando avanti una propria posizione autonoma (che poi attribuisce – bontà sua – all’intera Europa), che si sintetizza così: non vogliamo essere costretti a scegliere tra America e Cina perché non è nei nostri interessi. Autonomia che si manifesta in campo energetico (raddoppio del gasdotto Nord Stream 2 con la Russia), accordo sugli investimenti con la Cina, ma anche in scelte innovative quali il progetto di creare un proprio vaccino anti Covid o quello di una rete G6. Sono tutti segnali di smarcamento dalla posizione americana e di assunzione di responsabilità diretta negli affari mondiali.

Manca – è vero – la copertura militare (per la quale Berlino continua ad essere dipendente dalla Nato), ma è anche vero che gli USA hanno ormai eletto a pilastri difensivi anti russi in Europa le tre Repubbliche Baltiche e la Polonia a nord, l’Ucraina al centro e la Romania a sud.

Il ruolo del Giappone

Anche il Giappone mostra segni di evoluzione strategico – politica. Non fidandosi più della capacità (o volontà?) americana di garantire la sua sicurezza e di fronte al minaccioso atteggiamento cinese, sta rinverdendo il passato di grande potenza marittima, rinnovando la propria flotta, sia di superficie che subacquea.

Quindi, a differenza della Germania, che vuole la copertura militare USA ma non ne accetta i condizionamenti nelle politiche economiche, commerciali ed energetiche, il Giappone si allinea alle posizioni americane anticinesi, ma intende difendersi con mezzi di produzione indigena o quanto meno non dipendere dall’ombrello USA che non ritiene sia più affidabile.

Forse gli americani dovrebbero imbarcare nella coalizione anticinese un alleato di peso, quale, ad esempio, l’India. Ciò sta in parte accadendo con la Quadrilateral Initiative (detta più brevemente QUAD), dove il timore di Pechino rafforza il desiderio di autodifesa di Australia (colpita pesantemente nelle esportazioni per aver osato chiedere una inchiesta internazionale sull’origine del Covid), India (ripetuti scontri sanguinosi sulle pendici dell’Himalaya) e appunto Giappone (provocatorie manovre della flotta cinese nelle acque che lambiscono le coste nipponiche).

Russia: sarà Guerra fredda?

Con la Russia il dialogo si presenta in salita, visto che Biden mira a contenere e, se possibile, respingere l’espansionismo di Mosca, in una ottica di pura guerra fredda, di cui Biden è figlio. Ottica – come rilevato da molti  – non priva di errore perché considera avversario strategico la Russia per via della sua potenza missilistica e delle sue notevoli capacità di guerra elettronica (vedi la recente Solar Wind, un attacco cibernetico contro una quarantina di enti e amministrazioni americane, di cui non conosciamo tuttora i danni arrecati),

mentre tratta da rivale (competitor) la Cina, che invece per capacità commerciale, finanziaria, ma soprattutto tecnologica dovrebbe essere considerata il pericolo principale.

Biden, pur lanciando la sfida attraverso l’esplicito sostegno agli oppositori interni delle due rivali (Navalny, Uighuri, Hong Kong) non chiude a possibili collaborazioni nel campo della sicurezza nucleare con la Russia (è stato infatti prorogato di 5 anni il Trattato missilistico START) e a possibili intese, non meglio specificate, con la Cina, sempre se questo rientrerà negli interessi americani.

Medioriente: i punti deboli della diplomazia

Il blocco degli aiuti militari ai Sauditi per le operazioni in Yemen era atteso. È un rifiuto della logica della guerra (d’altra parte l’Arabia Saudita, pur con il poderoso aiuto militare USA, da 7 anni che non viene a capo della rivolta delle tribù Houti, che anzi hanno ormai occupato tre quarti del Paese) e un rilancio del metodo diplomatico. Ma è soprattutto un ramo di ulivo lanciato agli iraniani, che sostengono la ribellione, che mostra la disponibilità USA a trovare intese con Teheran, la prima delle quali dovrebbe riguardare il rientro nell’Accordo sul nucleare, da cui Trump uscì nel 2018. Un accordo accettato in linea di principio dagli iraniani (a dimostrazione del loro intendimento di procedere alla costruzione dell’atomica), ma senza estensione al settore missilistico, che Washington ma soprattutto Tel Aviv vorrebbero invece includere.

Ma poiché a ogni azione corrisponde una reazione contraria, gli Houti potrebbero approfittare dell’occasione per occupare l’intero Yemen e poiché il Paese controlla lo stretto di Bab el Mandeb e la porta di accesso a Mar Rosso e Mediterraneo, ciò significherebbe allargare la zona di influenza iraniana in Medio Oriente, dove Teheran già controlla Irak, Siria e Libano.

In altri termini questo vorrebbe dire l’indebolimento della posizione americana, che con gli Accordi di Abramo ha inteso unire Israele e i Paesi arabi sunniti in funzione anti Teheran. Proprio un bel grattacapo.

Gli otto alleati di Joe: ma l’Italia dov’è?

Ultima considerazione: nel suo discorso Biden non ha citato né la UE né la NATO né l’Italia, ma ha nominato solo 8 alleati (in Europa, Regno Unito, Francia e Germania). Detto del problematico rapporto con i tedeschi e degli analoghi complessi rapporti con la Francia, soprattutto in campo NATO, possiamo attenderci che la collaborazione con la UE dovrebbe procedere speditamente sulle questioni immaterali quali ambiente, clima, green e diritti umani.

Per quanto riguarda il nostro Paese, che pure ha assunto dal dicembre scorso la Presidenza del G20, facciamo finta che Biden, lungi dal declassarci, non abbia voluto sbilanciarsi data la delicata fase politica che Roma sta attraversando. O quantomeno lo speriamo.

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