In vista di un nuovo e più equilibrato approccio alla crescita dell’economia mondiale dopo la pandemia, assume un particolare rilievo che la prossima direttrice generale del WTO sarà una donna africana, la nigeriana (con cittadinanza americana) Ngozi Okonjo-Iweala. Pare un segnale importante di cambiamento voler assegnare le sorti del commercio mondiale a qualcuno che viene dal continente meno sviluppato e che quindi meglio di altri ne conosce le dinamiche.

La World Trade Organization (WTO – organizzazione mondiale per il commercio) è l’istituzione globale che si occupa delle regole alla base del commercio internazionale, con obiettivo dichiarato di garantire che si svolga nel modo più libero possibile. È composta da oltre 160 Paesi membri, che rappresentano il 98% del commercio mondiale ed è impegnata nel facilitare e monitorare gli accordi multilaterali, tra cui numerosi patti di libero scambio tra aree geografiche omogenee. È anche l’organismo a cui rivolgersi per risolvere dispute su dazi e barriere doganali, con un impegno particolare nel tutelare gli interessi dei Paesi più deboli in un’ottica di sviluppo equo.

Presente fin dall’inizio nel gruppo dei candidati prescelti dal comitato nomine, Okonjo-Iweala era stata appoggiata immediatamente dalla UE e in seguito da moltissimi altri Paesi. Si era arrivati all’unanimità tranne uno, con il veto degli Stati Uniti d’America che preferivano la candidata coreana. L’ex presidente Trump non ha mai nascosto di considerare il WTO un’organizzazione «orribile e succube della Cina» e scelse di sostenere la candidata asiatica probabilmente sperando in una difesa più accesa delle proprie posizioni. La nuova amministrazione USA ha invece tolto il veto contro Okonjo-Iweala, che diventerà quindi la nuova direttrice generale, ancorché manchi l’ufficialità.

Si tratta della prima africana e della prima donna al comando del WTO e per una che da sempre sostiene che «le donne sono più oneste e trasparenti, meno inclini alla corruzione» sembra davvero una bella rivincita, dopo la giovinezza segnata dall’indigenza nel suo Paese natale, la Nigeria. Nata 66 anni fa in seno alla famiglia regnante di etnia Igbo (che rappresenta il 17% della popolazione, ndr), perde tutto nella guerra civile del Biafra, dove suo padre si trova schierato dalla parte sbagliata.

Da piccola conosce la miseria, il pozzo più vicino a chilometri di distanza e in diverse interviste racconta la sua capacità di dormire ovunque, anche sulla dura terra. Grazie al sostegno di un’associazione per lo sviluppo della leadership femminile, studia prima a Harvard (1973-76) e poi al Massachusetts Institute of Technology, dove chiude il dottorato con una tesi sullo sviluppo rurale nigeriano. Segue una carriera di 25 anni presso la Banca Mondiale, di cui nel 2007-11 diventa la Managing Director (numero due nell’organigramma) e si fregia di importanti successi nella gestione della crisi alimentare del 2008 e nella raccolta fondi da donatori per le nazioni a più basso reddito, che nel 2010 arriva quasi a 50 miliari di dollari.

Crede fermamente nella necessità di cambiare metodo per il WTO e vuole introdurre riforme, specie a favore dei Paesi non ancora sviluppati. Il suo gioco di parole “Trade not aid” (commercio, non aiuti) è accattivante e di certo farà presa sui colleghi membri. Una bella spinta per l’Africa, dove il commercio è visto come un propulsore di crescita sostenibile e uno strumento fondamentale per ridurre la povertà.

Okonjo-Iweala vuole trovare il modo di coinvolgere donne e giovani, che considera il motore dell’Africa, nei benefici del commercio, spostando l’attività prevalente dall’esportazione di materie prime (petrolio, gas e minerali) alla trasformazione delle stesse, aggiungendo valore alla catena di produzione e vendita e ampliando così la platea dei beneficiari all’imprenditoria privata.

Siede nel board della Global Alliance for Vaccines and Immunization e si è sempre schierata contro il brevetto sui vaccini, arrivando a dire che in Africa c’è il potenziale per un’industria farmacologica continentale, indipendente dalle importazioni dai paesi industrializzati (oltre il 90% del fabbisogno, al momento).

Ngozi Okonjo-Iweala al World economic forum del 2016 ©swiss-image.ch/Photo Moritz Hager

Nel 2003 lascia il lavoro alla Banca Mondiale per imbarcarsi nell’avventura in Nigeria, chiamata a servire come Ministra delle Finanze (per due volte nel 2003-06 e nel 2011-15). Anche in patria ottiene grandi soddisfazioni, negoziando nel 2005 una cancellazione del debito estero per USD 18 miliardi, raddrizzando le sorti del bilancio statale e ottenendo per la Nigeria il primo rating sovrano.

Riesce inoltre a svincolare il bilancio dello stato dal prezzo del greggio e fa confluire l’eccesso di entrate degli anni delle quotazioni elevate in un “libretto di risparmio” che permetterà al Paese di superare meglio di tanti altri la crisi finanziaria del 2008. Viene ricordata come una paladina anti-corruzione, una mosca bianca in un Paese che di fatto vive nell’economia informale e delle “mazzette” tra politici e imprenditori. Nelle sue indagini rivela un numero enorme di finti impiegati statali i cui stipendi foraggiano l’illegalità (sottraendo allo Stato circa USD 1,25 miliardi l’anno) e ha l’intuizione di rendere pubbliche le dotazioni fatte agli enti territoriali, ad esempio per sistemare le strade, costruire scuole o altri lavori di pubblica utilità. La popolazione si rende conto di quanto venga allocato e poi disperso e saltano molte teste tra gli amministratori locali e centrali.

Okonjo-Iweala ha un impatto sociale sul Paese che è ancora più incredibile se si pensa a quanto poco rispetto ottenga una donna in Africa – e non solo, purtroppo. Nella società fortemente patriarcale e contaminata dagli estremismi di Boko Haram, una donna così forte che si afferma e conferma nonostante i detrattori, è un bello stimolo per le ragazze africane che nella sua elezione al vertice del WTO vedono accendersi più forte la speranza di poter avere un ruolo nella società. Fonda in Nigeria il Centro per gli Studi Economici, una società che finanzia a tassi pro-forma l’acquisto di una casa, un programma di incentivi per le imprese create dai giovani e dalle donne in particolare e un altro per la creazione di nuovi posti di lavoro. Tutte iniziative che ricevono l’encomio di Banca Mondiale e vengono poi replicate in altri Paesi.

Donna semplice, che indossa orgogliosa i colorati abiti floreali da 30 dollari tipici della Nigeria, dichiara nel 2009 a The Independent che «le donne mettono molto meno ego nel lavoro, forse perché in fondo gestire l’economia di una famiglia e quella di un intero Paese non è tanto diverso». Ora dovrà occuparsi di una dimensione ancora più grande, intermediando i rapporti tra le nazioni di tutto il mondo, ma sicuramente lo farà con lo stesso approccio aperto, onesto e responsabile mostrato nelle sue mansioni precedenti. Con uno sguardo particolare alle nuove generazioni e a quel gender gap che nei Paesi in via di sviluppo è ancora un vero e proprio abisso.