Il Ministro dell’istruzione Lucia Azzolina, dopo aver preso atto giorni fa che la Didattica a Distanza ha fallito il suo compito, è tornata a premere per la riapertura delle scuole segnalando che “il Cts ha ricordato che le scuole hanno un ruolo limitato nella trasmissione del virus. E ribadito – non è la prima volta che lo dice – che l’assenza prolungata da scuola può provocare conseguenze gravi nei ragazzi, per gli apprendimenti e per la sfera emotiva e relazionale”.

In Veneto, di contro, rimane attiva l’ordinanza del governatore Luca Zaia che chiude le scuole superiori fino al 31 gennaio. Una soluzione questa che non ha convinto tutti, soprattutto gli alunni della secondaria di secondo grado che, attraverso il comitato Ridateci La Scuola, ha deciso di collocare prossimamente un presidio davanti il palazzo della Regione per mantenere alta l’attenzione sul tema.

I ragazzi possono allora cominciare a preparare gli zaini? Niente affatto. Nonostante la decisione del TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) del 15 gennaio 2021 di sospendere l’ordinanza dell’Emilia Romagna (ma anche il TAR della Lombardia si è adeguato con analoga decisione, ndr) e di far riprendere le lezioni in presenza, cosa che, apparentemente, dovrebbe condizionare tutte le Regioni con la DaD al 100%, Zaia non pare aver alcuna intenzione di adeguarsi. Anzi: il 18 gennaio dichiarava che “noi ci adegueremo alle indicazioni nazionali solo se la condizione sanitaria sarà  compatibile con la riapertura” cosa che, con l’attuale curva, sembra già un mettere le mani avanti, un po’ come quando da bambino, se chiedevi il gelato, ti rispondevano “se fai il bravo, dopo forse sì”. D’altronde, qualche giorno prima aveva sottolineato: «Come mai, se il problema non c’è anche il governo dice che si potrebbe riaprire ma solo al 50%? Non accetto che ci dicano che non apriamo le scuole perché non siamo pronti coi trasporti. Non è per questo: noi con i trasporti ci siamo.» Ma non è solo la scelta prudenziale del Governatore a rendere precaria la didattica in presenza: ci pensano anche le nuove ordinanze regionali che obbligano alla quarantena una classe con un solo positivo.

Insomma, la Regione Veneto pare avere molto chiaro il comportamento da tenere durante questa epidemia, con una strategia spesso parallela su alcuni temi (si veda la campagna per il test rapido e “fai da te” su cui Zaia si batte almeno da novembre) o chiaramente oppositiva in altre, come il ritorno in presenza, quasi a volersi scrollare di dosso il fatto che, in tema sanitario, molte prerogative regionali siano state temporaneamente ridimensionate dall’articolo 2, comma 2, decreto legge 19/2020.

Alla fine di questa breve panoramica, notiamo come sia presente una latente tensione tra Stato centrale (Ministero dell’Istruzione, Magistratura percepita come sua emanazione) e Regioni e che ne sia cartina tornasole il decisionismo dei Governatori regionali che può manifestarsi, come visto, in aperta polemica con Roma. In prospettiva, peraltro, la polemica si può estendere anche tra Regioni ricche e Regioni “povere”, come dimostra la recente richiesta della Regione Lombardia di ripartire i vaccini in base anche al Pil di ciascun territorio. Comunque, tornando al punto, sarà una casuale sincronia, ma la recente dichiarazione di Simonetta Rubinato, Presidente del gruppo “Veneto per le autonomie”, che sottolinea la necessità che «con 24 senatori il Veneto negozi investimenti e autonomia», lascia intendere che la crisi potrebbe essere ottima leva per ottenere il compimento del famoso referendum consultivo del 2017.

Certo, la Rubinato non è della Lega né del partito di Zaia; il Governatore, tra l’altro, è all’ultimo mandato e quindi non ha certo la possibilità (ammesso che davvero l’abbia mai voluto) di dare sostanza al suo cavallo di battaglia elettorale anche se, di fronte al traballante mito del Veneto virtuoso nell’epidemia, potrebbe essere una risorsa per puntellare ambizioni romane. Piuttosto, quel che qui si intende segnalare è che se la pandemia doveva unire gli italiani sotto l’arcobaleno del “tutto andrà bene” qualcosa è decisamente andato storto: la paura col il suo effetto “anestetico” sulle divisioni interne (politiche, sociali, culturali), come si sa, funziona solo se circoscritta nel tempo.

Di fatto, conviviamo col virus da un anno e le vecchie ruggini ora riaffiorano. Si badi: pur auspicandola, non crediamo affatto che questa classe politica arriverà alla realizzazione dell’Autonomia del Veneto: come abbiamo già scritto in passato “bisognerebbe avere la sindrome di Korsakoff per poter credere davvero a questa promessa visto che la questione autonomia/secessione è un mantra della Lega dal 1983 (37 anni fa) e di Zaia, che ne aveva fatto perno del proprio programma già nel 2010 (10 anni fa) e oggetto di referendum nel 2017 (3 anni fa). Soprattutto, è irrealistico pensare di raggiungerla con Matteo Salvini alla guida della Lega che, come abbiamo visto, è il primo vero ostacolo al progetto” (aprile 2020). Nulla nel frattempo è cambiato, Francesco Boccia (Ministro per gli affari regionali e le autonomie) compreso.

Se prima si dibatteva a cuor leggero col piatto pieno ora, col piatto vuoto, la voglia di scannarsi è decuplicata e ancor più di dare la colpa a qualcun altro. La contrapposizione Stato-Regioni si combatte ora sul terreno della scuola e tanto peggio per gli adolescenti, che ora come ora vedono riconosciuto dal TAR dell’Emilia Romagna (a breve si pronuncerà anche il tribunale veneto su un ricorso similare) il loro diritto di andare a scuola standosene intanto chiusi in casa. Insomma: non sappiamo se alla fine il Veneto avrà l’Autonomia, magari da inserire in un contesto più ampio come la Kerneuropa: quel che vi si può assicurare è che, pur avendo fatto il bravo con l’acquolina in bocca, quel gelato, alla fine, non è arrivato mai.