Verona torna ancora una volta agli onori – si fa per dire – della cronaca nazionale. Questa volta lo fa in sordina – e ci verrebbe da dire per fortuna ­– in occasione della bocciatura della candidatura a “Capitale della Cultura 2022”. Delle numerose città o piccoli comuni che hanno aderito al bando del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, Verona non è riuscita a convincere nemmeno chi, ieri, ha pubblicato il nome delle dieci finaliste: Ancona, Bari, Cerveteri, L’Aquila, Pieve di Soligo, Procida, Taranto, Trapani, Verbania e Volterra.

Certo, c’è da dire che già dall’inizio era difficile ipotizzare che la città avesse effettivamente la forza di proporre qualcosa di convincente al punto tale da vincere il bando, ma allo stesso tempo era altrettanto inimmaginabile che rimanesse fuori dalla rosa delle dieci selezionate in attesa dell’assegnazione finale. Una doccia gelata per tutta la città, che in queste ore sta reagendo indignata sui social.

D’altronde, visto il dossier presentato da Verona, non era difficile in fondo prevedere l’esito finale. Già, perché da sempre, da quando è stata istituita nel 2015 la Capitale italiana della Cultura, a vincere sono state non le città più belle e ricche in patrimonio culturale, ma quelle che hanno presentato un progetto innovativo, che andasse al di là dell’esistente e che portasse avanti un’idea nuova, con un percorso mai solcato prima. Proprio quello di cui Verona aveva bisogno, peraltro. Perché è chiaro a tutti che quella che viene definita giustamente una delle città più belle non solo d’Italia ma addirittura del mondo è storicamente seduta sui propri “allori” e non da oggi e nemmeno da ieri. Da sempre. E su questi allori ha costruito, sia pur con qualche timido tentativo di “provarci”, il dossier presentato alla commissione. Ma erano solo, appunto, timidi tentativi, che ai più sono apparsi anche parecchio tardivi.

In questi anni – con un assessorato alla Cultura la cui sola presenza, a dire di alcuni, doveva risolvere le sorti culturali della città – da parte dell’amministrazione non abbiamo visto alcuna vera spinta progettuale né per i cittadini né per il turismo. L’assegnazione del nuovo direttore artistico teatrale, tanto per fare un esempio di mancato pragmatismo, è stata un vero e proprio “parto”, con bandi pubblicati e poi posticipati. La Casa di Giulietta rimane ancora oggi lo specchietto per le allodole di un’attrazione turistica che, pur utile per l’indotto, rimane di bassa qualità e non adeguata alle potenzialità della città e alla fruizione di alberghi e servizi che vadano oltre la veloce toccata e fuga, che oggi caratterizza il percorso del turista medio. Cosa potevamo aspettarci se in tre anni abbondanti questi temi hanno suscitato un così forte dibattito nella maggioranza?

Così il bando è diventato espediente per trovare nuovo entusiasmo tra i componenti stessi di un’amministrazione che non è stata in grado di mantenere un percorso definito e per cercare di consolidare la forza politica di un assessorato che, da quando è stato sfiduciato dall’originario gruppo politico di appartenenza ormai un anno e mezzo fa, è sempre stato sul filo del rasoio, pronto a essere sostituito, salvo poi entrare nelle grazie del gruppo politico cui fa capo il sindaco. 

Nasce così il percorso “Capitale della Cultura” che abbiamo seguito con interesse e con altrettante perplessità. Non una progettualità competitiva sui vari settori – teatro, arte, eventi, turismo – con la creazione di percorsi reali e virtuali che potessero introdurre anche i concetti di inclusione sociale, ma una serie di idee “spot” decisamente poco convincenti, anche dal punto di vista mediatico. 

Fare cultura, oggi, è possibile solo con un’ampia condivisione tra pubblico e privato. È l’abilità di far coesistere, valorizzandole, le esperienze del passato con l’impulso moderno. Senza innovazione non potrà mai esserci capacità di raggiungere ogni angolo del mondo, come è stato più volte annunciato negli incontri che l’amministrazione ha tenuto per diffondere le proprie progettualità. 

L’ala in bianco e nero dell’Arena, foto di Sarah Baldo

E invece si è parlato assai poco di innovazione tecnologica, purtroppo, laddove anche un semplice percorso di digitalizzazione dei musei pubblici e privati, delle biblioteche, dei siti archeologici e, perché no, della città, sarebbe stato un punto di partenza importante.

Inclusione, per raggiungere chiunque. Una Verona digitale è cultura, è turismo, libero da qualsiasi barriera. Provate a immaginare una città interamente digitalizzata a portata di chi, per questioni economiche, fisiche o personali non possa materialmente raggiungerla. Ma inclusione è anche “sociale” con percorsi che avrebbero dato possibilità, anche a chi per vari motivi vive in regimi di libertà limitata, di farsi quattro passi per la città, visitando i suoi musei, addentrandosi nei monumenti, magari con prospettive e visuali dall’alto non consentite nemmeno ai pedoni o, addirittura, sfogliando cataloghi e documenti della più antica biblioteca al mondo.

La Biblioteca Capitolare di Verona è riconosciuta come la più antica al mondo… magari farne un cenno per valorizzarla non avrebbe dato fastidio nemmeno a chi, ancora oggi, è convinto che per vincere sarebbero bastate quattro letture sulle orme di Shakespeare e Dante! E invece in Comune si sono scervellati più su progetti che sembravano finalizzati alla valorizzazione degli eventuali fondi per finalità di recupero urbanistico che sul tema culturale vero e proprio.

Per carità, nulla da togliere alla sensibilizzazione e alla rivalutazione di ciò che ci circonda, ma aprire le danze ipotizzando un recupero di parte dell’ex area militare “Santa Caterina” al Pestrino ci è sembrato quantomeno bizzarro; un complesso con edifici senza alcun valore architettonico, costruiti in emergenza per ospitare gli archivi documentali dell’esercito in tempo di guerra e il cui recupero è stato annunciato alla presenza dell’amministrazione e dei rappresentanti dell’Università di Padova. L’ambizione per quel luogo senza valore storico? Trasferire il deposito del Museo di Castelvecchio in un luogo che meriterebbe l’abbattimento totale dei fabbricati a favore dell’ampliamento del Parco dell’Adige con eventuali piste ciclabili, aree verdi e percorsi didattici. Ci si preoccupa di una periferia chiusa ai cittadini, recentemente ceduta dal Demanio al Comune e intanto l’Arsenale, porta di ingresso al centro storico, sta per implodere su sé stesso

L’adesione al bando appare sempre più come desiderio di reperire fondi per restauri urbanistici – molti dei quali ci sembra non abbiano particolare urgenza dato il dubbio valore di alcune realtà oggetto degli studi di riqualificazione – più che un progetto realmente incentrato sul rilancio culturale.

Questa visione urbanistico-centrica, a danno della componente culturale che è apparsa fortemente offuscata, non ha permesso quell’estensione formativa, educativa, ricreativa e aggregativa che probabilmente ci si aspettava da un progetto che avrebbe dovuto parlare innanzitutto di cultura. La mancanza di centralità sul tema e l’assenza di dialogo con le realtà culturali della città – esperti di caratura anche nazionale ne abbiamo parecchi – sono state alcune delle cause di questa clamorosa bocciatura. 

Si è trascurata la centralità della città e del suo tessuto economico e sociale, altri elementi di prezioso apporto per un rilancio completo a livello non solo cittadino. “Verona Capitale della Cultura” avrebbe dovuto giocare anche e soprattutto la carta del coinvolgimento massiccio dei comuni limitrofi – altri lo hanno fatto senza troppe gelosie campanilistiche e politiche – per una valorizzazione territoriale, magari ricordandoci che abbiamo la fortuna di abbracciare, in pochi minuti, pianura, lago e montagna. Così, oltre a quella urbanistica, avremmo valorizzato anche la cultura del territorio. 

Cosa accadrà ora? Sindaco e assessora alla Cultura appaiono intenzionati a proseguire sui progetti presentati. Ci auguriamo sia possibile per quei recuperi virtuosi proposti – come la valorizzazione dell’Ex Manifattura Tabacchi – pur vedendo utopistico il recupero di tutti i ventidue luoghi indicati, alcuni dei quali, va precisato, fanno capo a restauri già programmati da parecchio tempo. Vorremmo sapere quanto la Commissione Cultura sia stata coinvolta nelle fasi del progetto. E quali – eventualmente – siano state le loro istanze, le loro idee e gli attori del tessuto culturale coinvolti.

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