Vito Crimi, capo politico del M5S, ha dichiarato in questi giorni che il movimento rimane contrario all’utilizzo del MES e che non gradisce nemmeno la riforma ma voterà favorevolmente la ratifica mercoledì prossimo in Parlamento. Dimostra un pragmatismo poco frequente in ambienti stellati, riconoscendo che a dicembre 2019 «potevamo permetterci di dire no, oggi siamo in una crisi pandemica, in cui l’Ue ha dimostrato di mettere in campo strumenti nuovi e dobbiamo guardare avanti.». Mai resa fu tanto aggraziata e benvenuta, visto che, al di là delle tante baggianate che si leggono, esiste un assioma fondante per qualsiasi strumento finanziario: non siamo costretti a farne uso, indipendentemente dalla riforma dello stesso.

L’Italia può votare la riforma e continuare tranquillamente a indebitarsi sui mercati, come fa da molti anni. Il mondo oggi viaggia a tassi d’interesse pari a zero (o negativi) e rifinanziare il debito in modo conveniente non è complesso. Viviamo insomma un momento a rischio minimo per la sostenibilità del nostro debito e potremmo concentrarci sulla spesa utile, invece di mostrare le solite indecisioni nel presentare alla UE un piano credibile (anche solo uno straccio di progetto basterebbe, per ora). Ma i tassi torneranno a crescere, la BCE dovrà rivedere le misure di sostegno, la nostra ripresa potrebbe non essere immediata e, insomma, lasciare aperta una porta al MES sembra una scelta saggia nel medio termine, per uno Stato indebitato, traballante e mal gestito come il nostro.

Il MES nasce – con una grossa spinta da parte dell’Italia – nel 2010 al tempo della crisi finanziaria che colpì i famosi paesi PIG (acronimo di Portogallo Irlanda e Grecia, ma anche maiale in inglese – nda), rendendo evidente la necessità per la UE di dotarsi di un organismo intergovernativo dotato di capitale proprio, da prestare a condizioni agevolate ai paesi in difficoltà. Primo contributore al MES è la Germania con il 27%, mentre l’Italia apporta il 18%. I prestiti sono sottoposti a una rigida condizionalità, obbligando i riceventi a misure e riforme di estremo rigore che lo hanno di fatto reso uno strumento molto impopolare. La riforma nasce dalla volontà di inserire il MES all’interno dell’impianto istituzionale europeo, in modo da allentarne il potere discrezionale, mitigandolo con le migliori capacità negoziali della Commissione europea. Le modifiche vere e proprie sono piuttosto tecniche, cerchiamo di renderle digeribili.

Il backstop per le banche (grado di tecnicismo medio)

Questa parola letteralmente rimanda a un fermo, un sostegno per impedire a qualcosa di cadere. In effetti si tratta di una sorta di garanzia, fornita dal MES, per la risoluzione ordinata di una banca. Se una banca in dissesto va smantellata, viene utilizzato un Fondo comune (cui le banche contribuiscono economicamente) per garantire che resti operativa a beneficio dei risparmiatori. Il Fondo di Risoluzione esiste da pochi anni e le sue risorse possono solo beneficiare di questo sostegno aggiuntivo in caso di una crisi bancaria che dovesse superarne le possibilità. Il sostegno reciproco europeo favorisce ovviamente i clienti delle banche più deboli nei paesi più fragili: se qualcuno legge tra le righe “Italia” non ha tutti i torti. Il passo successivo sarà l’assicurazione comune sui depositi, aggiunta a quella dei singoli stati, sempre a protezione dei risparmi.

Le CAC – clausole di azione collettiva (grado di tecnicismo super pro)

Basti sapere che qualsiasi stato può modificare i termini di un bond che ha emesso, andando quindi in default morbido sul proprio debito, solo con l’approvazione della maggioranza qualificata dei creditori. Prima della riforma erano previste due votazioni, in una votano i detentori di ogni singolo bond e nella seconda insieme tutti i detentori di tutti i bond. Si è notato, con l’esperienza dei default di Argentina e Grecia, che i fondi speculativi approfittano dell’intervallo tra le votazioni per comprare i bond in super saldo per poi rifiutare l’offerta di rimborso modificato. Per proteggere le ristrutturazioni del debito dai fondi avvoltoio, la riforma introduce la votazione singola e la possibilità di creare gruppi omogenei di creditori (ad es. privati, fondi, enti governativi ecc.) per rispettare la parità di trattamento. Con o senza riforma il MES non può obbligare uno Stato al default, né lo rende più probabile. Se il M5s, da sempre nemico del “mostro finanza”, dovesse bloccare la modifica, farebbe soltanto un favore ai fondi parassiti, in un assurdo corto circuito mentale.

PCCL e ECCL – le linee di credito precauzionali (livello pro)

Si tratta di finanziamenti con struttura meno rigida che mirano a prevenire la crisi mentre si sta ancora delineando. Le linee precauzionali esistono già e la decisione sull’utilizzo anche qui spetta solo e soltanto al governo interessato. Nella riforma sono previsti impegni per gli Stati limitati e specifici, mentre vengono resi più stringenti i criteri di ammissibilità. Diciamo soltanto che l’Italia non avrebbe molte speranze anche volendo utilizzarle, ad eccezione della ECCL più “famosa”, quella per le spese sanitarie che, proprio per la sua unicità, non prevede criteri e ha come unico vincolo l’utilizzo per migliorare il sistema sanitario. L’Italia, bloccata dallo scoglio ideologico e stregata dai contributi a fondo perduto dell’altro strumento europeo, il Recovery Fund, ha evidentemente perso un’occasione per ottenere i 36 miliardi di euro a cui avrebbe titolo in tempo per attrezzarsi decentemente contro la seconda ondata di epidemia, in cui sono emersi ancora più evidenti i limiti di un sistema sanitario depredato e abbandonato.

Eliminazione delle fisime nordiche (livello medio basso)

Per le linee precauzionali, sarebbe prevista come fase preliminare la ristrutturazione del debito pubblico, cioè la decurtazione del valore dei titoli dello Stato richiedente, rendendo partecipe della perdita anche chi lo detiene in portafoglio. Questo scatena sempre la frase sui “piccoli risparmiatori indifesi” e siamo d’accordo, non è bello veder dimezzato un investimento. Ma i piccoli indifesi dovrebbero finalmente diventare adulti e armarsi, rendersi conto che acquistare un titolo non è risparmio, è un investimento soggetto a un rischio di default. Dovrebbero essere ben consigliati, certo, da persone senza un conflitto con il proprio bonus; ma anche imparare a ragionare sul nesso tra rendimento e rischiosità, diventando più consapevoli delle proprie scelte. Su questo tema, i Paesi frugali spingevano per una ristrutturazione automatica del debito (il cosiddetto bail-in) ma si è scelto un compromesso più tutelante per il paese in difficoltà: prima della ristrutturazione del debito, si procede a un’analisi della sostenibilità del debito stesso, legata alla futura capacità del Paese di ripagarlo, in cui l’ottica aziendalista del MES viene mitigata dalla visione politica della Commissione europea. Con lo stesso spirito, è stata ignorata la richiesta dei paesi nordici di trasferire i compiti di sorveglianza sui bilanci statali dalla Commissione (che decide a maggioranza) al MES, che è soggetto al diritto di veto di ciascuno degli Stati sulle scelte più importanti.

Nei giorni scorsi è perfino tornato alla ribalta un tema caro a Bob Geldof e Bono Vox, quel “cancella il debito” che per anni è stato il loro mantra in ogni sede istituzionale. Stupisce un po’ che a citarlo non sia un musicista ma il presidente del parlamento europeo, David Sassoli, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro. Se ne parla solo in Italia, dove il tema attizza strane fantasie. Si tratta di un’operazione che, a parte essere vietata dai Trattati, costringerebbe la BCE a cancellare anche i crediti dei singoli Stati, in una sorta di partita di giro per avrebbe effetti destabilizzanti per l’euro e minerebbe la credibilità della stessa BCE sui mercati internazionali. Anche solo accennare a una idea del genere lascia pensare che ci sia anche poca memoria nel nostro governo: dimentichiamo che la risposta alla pandemia ha un’unica potente mamma, la cancelliera Angela Merkel, che ha messo da parte l’avversione storica per il debito pubblico italiano in forza di un fine più alto. Ma le prossime elezioni in Germania potrebbero riservare la sorpresa di un ritorno al rigore senza compromessi e potremmo essere ricordati come quelli che hanno pensato alla fuga facile invece di restare a combattere per uscirne tutti insieme. Sa un pochino di tristissimo déjà-vu.