La pandemia sanitaria dovuta al Covid-19 ha messo a nudo le profonde disuguaglianze sociali che lasciano alcuni bambini e bambine molto più a rischio di altri, per le differenti condizioni nel mondo di assistenza sanitaria per i più piccoli, che spesso sono anche tagliati fuori dall’istruzione e lasciati senza protezione. 

L’Italia è tra i paesi con il tasso di povertà infantile più elevato: il 17% della popolazione minorile, pari a 1.750.000 bambini, vive sotto la soglia di povertà.

In particolare, l’Italia compare al 23esimo posto (su 29) nell’area OCSE per quanto riguarda il benessere materiale, al 17esimo per salute e sicurezza dei bambini, al 25esimo per l’istruzione e al 21esimo per le condizioni abitative e ambientali. Ancora più preoccupante è il dato che ci vede al secondo peggior posto – dopo la Spagna – per il tasso NEET, che misura la percentuale di giovani che non studiano, non lavorano e non frequentano corsi di formazione.

ll 20 novembre del 1954 è stata istituita per la prima volta la Giornata universale del bambino, nello stesso giorno nel 1959 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Dichiarazione dei Diritti del Bambino e infine, trent’anni dopo, nel 1989, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Convenzione sui diritti del fanciullo. Ogni anno è in questa data che nel mondo si celebra la Giornata Mondiale dell’Infanzia, un’occasione importante per sostenere, promuovere e celebrare i diritti dei bambini, traducendola in dialoghi e azioni, con l’obiettivo di costruire un mondo migliore per i bambini. 

In occasione della 31esima ricorrenza di questa giornata, il Comitato Unicef Verona ha scelto di essere presente, anche se a distanza e in tutta sicurezza, con una proposta tutta online per costruire un dialogo con la comunità veronese. Il cittadino potrà votare il diritto, presente nella Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, che ritiene più efficace per il miglioramento della vita dei minori in questo contesto sociale. È possibile votare fino a domenica 22 novembre al link del sondaggio raggiungibile anche dalla pagina Facebook dell’organizzazione scaligera.  

Norberto Cursi

Guardando a questo periodo storico di emergenza sanitaria anche in Italia, abbiamo chiesto a Norberto Cursi di Unicef Verona cosa si sta mettendo in atto soprattutto nei confronti della politica, per salvaguardare la salute psicofisica dei bambini e degli adolescenti.  

«Siamo seriamente preoccupati dell’impatto della pandemia, dovute a morbilità e mortalità nonché alle conseguenze socioeconomiche. Per questo Unicef chiede ai Governi la salvaguardia e il rafforzamento dell’accesso e della continuità dei servizi sociosanitari (promozione, prevenzione e cura), istruzione e protezione durante le fasi di emergenza acuta, transizione e normalizzazione. Secondo un recente studio le ricadute economiche della pandemia potrebbero causare di qui a fine anno un aumento fino a 86 milioni di bambini in condizioni di povertà familiare nel mondo, ossia un incremento del 15% rispetto ai livelli pre-crisi. In Italia circa 10 milioni di bambini e adolescenti stanno vivendo sulla propria pelle le conseguenze della crisi sanitaria globale più grave dell’ultimo dopoguerra. Questa situazione emergenziale va ad inserirsi in un contesto dove le disuguaglianze già presenti nella nostra società rischiano in tal modo di acuirsi. Un aspetto da tenere in considerazione è quello della povertà; i dati ufficiali sulla povertà nel nostro Paese ci dicono che quasi 2 milioni di bambini vivono in povertà assoluta e il Mezzogiorno rimane l’area con la percentuale più alta di individui a rischio di povertà assoluta. Altra questione la popolazione di rifugiati, richiedenti asilo e migranti che rischia di rimanere esclusa sia dagli interventi di sanità pubblica d’emergenza che dai comuni servizi sociosanitari tra cui protezione e istruzione.» 

Come elemento trasversale alla pandemia questa difficile situazione rischia di aggravare le disuguaglianze di genere… 

«Le donne e le ragazze tendono a essere incaricate delle cure richieste per i familiari malati, dello svolgimento delle faccende domestiche e delle responsabilità connesse alla cura dei più piccoli. Inoltre la salute sessuale e riproduttiva viene messa in secondo piano per far fronte all’emergenza con conseguenze gravi sull’accesso ai servizi essenziali. A tutto questo si aggiunge il problema della violenza: durante la pandemia il rischio di violenza domestica sembra aumentare, inclusi gli abusi sessuali. In Italia l’impatto dell’epidemia è particolarmente pesante nel caso di bambine, ragazze e donne migranti, che sono tra le categorie più vulnerabili in questa crisi. Questi dati ci devono far riflettere sugli effetti secondari della pandemia su situazioni di estrema fragilità; per questo come Unicef proponiamo una serie di misure che, sulla base del principio di equità e non discriminazione, non lascino indietro nessuno e prevedano la disponibilità di risorse adeguate a garantire il rispetto dei protocolli dell’emergenza.» 

Cosa si può fare in particolare in questo periodo storico di chiusura di tante famiglie in casa con il conseguente aggravarsi delle situazioni violente e incontrollate? 

«Durante e anche dopo l’emergenza, e in linea con le priorità del Ministero delle Pari Opportunità e Famiglia, sicuramente un’azione è favorire l’ampliamento dei servizi nazionali, quali il numero antiviolenza (1522), e il numero di emergenza per l’infanzia (114) per essere ulteriormente conosciuti e accessibili dalla popolazione minorenni, inclusi i giovani migranti e rifugiati. Oltre a prevedere modalità di segnalazioni informali d’emergenza di facile fruibilità (in mancanza di telefono – o impossibilità d’uso perché sotto controllo – o di linea internet) con successiva riconducibilità ai canali istituzionali di accertamento.» 

Nonostante le ristrettezze cosa possono fare i cittadini in questo momento storico e come Unicef si impegna a portare avanti le sue attività? 

«Il virus non fa alcuna discriminazione in base alla nazionalità, al reddito o all’etnia di appartenenza, i bambini e le comunità più vulnerabili sono quelli che saranno colpiti maggiormente. Ossia quelli che sono già marginalizzati, esclusi e sfollati, che vivono in campi profughi o nelle baraccopoli, in posti con un debole sistema medico o in posti che ne sono addirittura privi, senza accesso ad acqua, ad un sistema igienico-sanitario o a strumenti tecnologici e connessione internet, e senza nessuna rete di sicurezza. Quello che come cittadini possiamo fare è prima di ogni cosa rispettare le disposizioni per limitare il propagarsi di questa pandemia e per non vanificare gli sforzi e l’impegno sinora portati avanti. Altro aspetto importante è impegnarsi per riconquistare il senso di comunità e di cura verso l’altro. L’emergenza sanitaria ha messo tutti i paesi e tutti gli esseri umani di fronte a un pericolo terribile, che non ha tenuto conto dei confini. Ecco, questo sentirci tutti accomunati da questo rischio dovrebbe farci comprendere che le disuguaglianze, i rischi ambientali e biologici hanno dimensioni globali e se non saremo in grado di costruire una coscienza globale non saremo in grado di rispondere alle sfide che abbiamo di fronte. Siamo preoccupati per il potenziale impatto negativo sui finanziamenti e sulla nostra capacità di aiutare tutti i bambini. Reagire al Coronavirus e minimizzarne le conseguenze sui bambini richiederà solidarietà a livello globale, cooperazione e partecipazione di individui, comunità e governi. Ognuno di noi può partecipare a questa grande sfida.»