Il 20 luglio del 2001 ero a Monteggiori, in Versilia, ospite di Mariano  e dei compagni del circolo Alex Langer di Viareggio. Ero  sceso con un gruppo sparuto di veronesi per partecipare, il giorno dopo, alla manifestazione nazionale contro il G8 che si stava svolgendo in quei giorni, a Genova. Non eravamo sereni. L’atmosfera era molto tesa, le notizie che arrivavano da Genova raccontavano di manifestazioni, di black bloc e di scontri violenti con le forze dell’ordine, schierate in numero impressionante.

La casona di Monteggiori era piena di persone. Saluti, pacche sulle spalle e abbracci. Francesca, Luca, Silvano… La grande tavola nella sala era quasi pronta per la cena quando dalla tv, accesa per il telegiornale, arrivò la notizia dell’uccisione di Carlo Giuliani. Il silenzio calò immediatamente, poi imprecazioni, sgomento, incazzatura. La cena perse interesse e rimanemmo a seguire lo sviluppo delle notizie in arrivo dalla città ligure. Sapevamo che sarebbe potuto accadere. L’atteggiamento aggressivo delle forze dell’ordine lo faceva quasi presagire. Ciononostante, la notizia dell’uccisione di Carlo Giuliani ci colpì come un pugno improvviso allo stomaco.

Il G8 di Genova era nato sotto i pessimi auspici del Global Forum di Napoli. In quei giorni del marzo 2001, vide la luce, in Italia il Movimento No Global. In questa occasione le forze dell’ordine fornirono i primi segnali di forte preoccupazione per la loro tenuta democratica. Genova era blindata.

L’allora Presidente del Consiglio Berlusconi, aveva voluto seguire personalmente tutti gli interventi che avrebbero dovuto garantire la sicurezza dei potenti presenti al G8. Era una questione di immagine e di sostanza.

Da poco più di un mese il Ministro degli Interni era Claudio Scajola che nel suo cammino era transitato per la Democrazia Cristiana prima di finire a Forza Italia.

I giornali nazionali, le tv e le radio principali erano tutti schierati supinamente sulle posizioni del governo. Rare eccezioni furono Popolare Network, che raccontò in diretta quanto stava accadendo a Genova, e Il Manifesto. L’uccisione di Carlo Giuliani fu una motivazione ulteriore per partecipare alla manifestazione.

Il 21 luglio del 2001 era una splendida giornata di sole. Partimmo da Monteggiori in auto.  Qualcuno preferì partire con i pullman organizzati. Con loro ci saremmo ritrovati lungo il corteo. Questa, almeno, era l’idea iniziale. Al corteo erano attese decine di migliaia di persone ma la realtà fu ben superiore alle aspettative. Si stimò che fossimo in trecentomila persone.

Dal parcheggio al punto di partenza del corteo c’era un po’ di strada da percorrere. Lungo il tragitto incrociammo moltissime persone, famigliole, associazioni ambientaliste, singoli, coppie, sezioni di partiti della sinistra, bambini ed anziani.

Aspettammo a lungo la partenza del corteo, sotto un sole cocente. Dai palazzi soprastanti erano affacciate molte persone. A loro chiedemmo il conforto dell’acqua.

Una secchiata, poi un’altra ed un’altra ancora. Gli abitanti fanno avanti e indietro per portarci frescura. Dalla strada partono gli applausi, i canti ed il Bella Ciao spadroneggia. Dai terrazzini è tutto uno scroscio d’acqua. Ci guardiamo felici, la tensione si abbassa. Speriamo.

Il corteo inizia il proprio cammino lungo il mare. Corso Italia, mi pare, una delle principali vie di collegamento della città, ma anche una sorta di trappola per topi nel caso in cui fossero scoppiati disordini oppure nel caso in cui il corteo fosse stato aggredito. Scompare la rilassatezza ed aumenta il livello di tensione. Tutte le vie laterali sono presidiate da poliziotti e carabinieri. Non mi piace. È chiaramente una trappola. Il chiacchiericcio si placa, procediamo quasi silenziosi. Veniamo superati da un gruppetto di suore con la bandiera della Grecia che sembrano quasi correre verso la testa del corteo. Incrociamo ancora persone che portano striscioni di associazioni ambientaliste, singoli con cartelli, persone normali.

All’improvviso, da dietro, arriva un gruppo di persone vestite di nero. Corrono e il loro atteggiamento è aggressivo. Poco più avanti si infilano sulla destra, in un vicolo presidiato dalla polizia. Nessuno li controlla, nessuno li ferma. Li rivediamo poche decine di metri più avanti, nel corteo. Poco dopo, all’improvviso, cominciano gli scontri. Duecento metri davanti a noi le forze dell’ordine attaccano il corteo e sale la nuvola grigia dei lacrimogeni. Il corteo sbanda. Il nostro servizio d’ordine si attiva immediatamente per tentare di difendere le persone che stavano manifestando pacificamente.

Percorriamo ancora poche decine di metri prima di decidere di sganciarci e ritornare sui nostri passi. Per noi la manifestazione è terminata. Percorriamo lenti e demoralizzati la strada che ci riporta alle auto. Sguardo basso, cerchiamo di capire cosa sia accaduto e come sia potuto accadere. A un certo punto notiamo un signore anziano che dal terrazzino di un palazzo d’angolo, ci saluta. Emozione, occhi lucidi, parte il “Bella Ciao” liberatorio, rispondiamo al saluto. Respiriamo profondamente. Genova per noi.

Ritorniamo a casa. Al mattino ci arrivano le notizie delle atrocità compiute alla scuola Diaz e a Bolzaneto. Il pestaggio schifoso, le torture subite da moltissime persone inermi e (anni dopo) addirittura le promozioni degli indegni dirigenti e agenti che hanno gestito l’aggressione alla Diaz. Da allora molto è cambiato, in peggio, e le mele marce nelle istituzioni hanno raggiunto numeri e livelli non più tollerabili.

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