Adozione internazionale di bambini: cosa ti senti dire quando porti a casa tuo figlio (o tua figlia) adottato, magari con un colore diverso della pelle, dal vicino di casa o dalla coppia di amici che incontri?

Ti senti chiedere – lo dico per esperienza diretta, dato che con mia moglie abbiamo adottato nel 2003 una bambina cilena –: “Quanto l’hai pagato?”. Ti senti dire: “Ma che bravi che siete stati!”. Ti senti domandare se hai scelto tu o meno il “tipo” di figlio, facendo riferimento alla nazionalità e all’etnia.

Se poi il figlio (o la figlia) parla bene l’italiano, c’è lo stupore che un piccolo straniero possa sapere già la nostra lingua. Per non dire dei gusti alimentari o del fatto che se uno nasce in un certo posto acquisisce doti, vizi e virtù di quel luogo. Per trasmissione ereditaria.

Su questi e altri stereotipi e pregiudizi si concentra – con un tono ironico e leggero che lo porta al grande pubblico – un video intitolato La famiglia non è solo Dna, è sentimento. Il video ha superato, sui social, in pochi giorni il milione e 300 mila visualizzazioni, forte del lavoro del team di autori della casa di produzione cinematografica Casa Surace, che ha sede a Napoli. Gli autori hanno scritto i testi sulla base delle indicazioni di ItaliaAdozioni, associazione no-profit che si occupa di cultura dell’adozione e dell’affido.

Il video di Casa Surace, prodotto da ItaliaAdozioni è stato reso possibile grazie al contributo delle organizzazioni che hanno sostenuto il progetto universitario IconA. Un progetto che ha indagato, con una ricerca di livello universitario, su come gli italiani vedono l’adottare.

Ecco i contributori, senza i quali la ricerca IconA non sarebbe stata possibile: BCC Milano, Fondazione Cariplo e Cattolica Assicurazioni.

Quali stereotipi e i pregiudizi sull’adottare minori stranieri mette in chiaro il video di Casa Surace, con lo strumento dell’ironia? Il focus del video di Casa Surace è “sulle frasi da non dire quando si parla di adozione”. Quelle battute, quelle domande, quelle convinzioni che rivelano una visione dell’identità e della cultura come un qualcosa di fossile e di immutabile.

Nei 3 minuti e 46 secondi di filmato, abbiamo una serie elementi di pregiudizio evidenziati dal video: ad esempio che un figlio biologico deve essere tale e quale al padre. Oppure l’adottare un bambino come “opera di misericordia”, come forma di carità. Per non parlare dell’essere un figlio biologico un “figlio vero”, per cui solo i genitori biologici sono “genitori veri”.

Nel video, si ironizza sul fatto che l’adozione di bambini da taluni viene vista come un “regalo che si compra” e che si sceglie secondo i propri gusti e necessità. Per non parlare del “colore della pelle” del figlio adottato, da schiarire per renderla più consona al colore della pelle dei genitori e della società attorno.

Il video di ItaliaAdozioni mette alla berlina anche la credenza che un bambino (o bambina) in adozione non possa sapere l’italiano. L’ironia è sulla credenza di una fetta di cittadini italiani i quali pensano che il figlio adottato all’estero resti comunque “straniero”,

C’è poi l’eco compassionevole tipico dell’atteggiamento dei media italiani verso bambini, anziani e malati stranieri. Ovvero l’idea di “voler bene” – come atto misericordioso – verso uno “straniero” che viene da fuori e quindi va compatito. Inoltre, si ironizza nel video sulla fortuna di aver trovato un figlio adottivo che ha imparato in fretta l’italiano, perché gli stranieri non imparano le altre lingue,

Azzeccata la scenetta dove si insiste sull’immutabilità dell’identità dello “straniero” (“brasiliano è, brasiliano rimane”), il ricondurre una certa abilità o competenza (saper giocare al calcio) all’etnia, la trasmissione per via genetica, ereditaria, biologica delle competenze e dei talenti. Un tema che si interseca in modo prepotente con la diffusa convinzione che nel “nostro Dna” vi è tutto di noi e vi è il nostro, immutabile, destino.


Ha avuto un grande successo la scenetta sulle “caciocavallette”, che evidenzia il pregiudizio sui gusti alimentari e sulle condizioni di estrema povertà e degrado dei luoghi da cui vengono i bambini e le bambine adottati. Ci si stupisce, nel video, che il bambino brasiliano adottato ami la pasta; e si ripropone l’idea che ciò che viene da alcuni continenti – Africa e America Latina – provenga da situazioni al limite della condizione umana.

Il video La famiglia non è solo Dna, è sentimento – con le frasi da non dire quando si parla di adozione di minori dall’estero – ha suscitato centinaia di commenti, sia sul profilo Facebook di Casa Surace; sia su quello di ItaliaAdozioni. Sono voluto intervenire anch’io, in modo diretto e senza evitare lo scontro, nel dibattito sul profilo di ItaliaAdozioni.

Non mi sono occupato del video creato da Casa Surace, ma solo della ricerca universitaria che vi sta alla base (la ricerca IconA) su cui ho anche scritto un articolo per Heraldo. Per cui il giudizio, positivo, che ho dato sul video ha tenuto conto di una visione imparziale del filmato. Si tratta di un video virale, quindi non con intenti educativi né di approfondimento. Su questo ho fatto un’analisi approfondita del video di Casa Surace.

L’obiettivo di ItaliaAdozioni, che non si occupa degli “affari” legati al mondo sociale ma di cultura dell’adozione e dell’affido e lo fa no-profit, era quello di portare il tema dell’adottare a milioni di persone che non l’hanno mai affrontato. E di farlo smontando pregiudizi e stereotipi che riguardano, tra l’altro, anche i cittadini stranieri non adottati e i migranti. L’operazione sta riuscendo, grazie al seguito – 3 milioni di fan – di Casa Surace.

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