Lunedì la polizia cinese ha arrestato Jimmy Lai, fondatore dell’Apple Daily, il principale quotidiano pro-democrazia nel territorio autonomo di Hong Kong. Il noto imprenditore è accusato di “cospirazione con forze straniere, espressione di parole sediziose e frode”; le prime due tipologie giuridiche sono state introdotte dalla Legge sulla Sicurezza Nazionale varata a Hong Kong il 1° luglio su imposizione di Pechino, legge che attacca pesantemente il regime dei diritti e delle libertà fondamentali dell’individuo.  Oltre a Lai sono state arrestate almeno altre sei persone, fra cui i due figli di Lai e i funzionari senior dell’Apple Daily, tra cui l’amministratore delegato Cheung Kim-hung e il direttore finanziario Chow Tat-kuen.

Questa nuova legislazione punisce con l’ergastolo coloro che partecipano ad attività note come “sediziose, terroristiche o sovversive”, limitando di fatto la libertà di espressione e aprendo la strada al funzionamento dei servizi di sicurezza della Cina continentale sul territorio dell’ex protettorato britannico. La comunità internazionale, non a caso, ha definito il provvedimento “draconiano”, ipotizzando a ragione una violazione dei principi contenuti nella Legge fondamentale che regola l’enclave e nell’accordo per il ritorno della sovranità concordato a suo tempo nella Dichiarazione congiunta sino-britannica. Lo stato di diritto, la divisione dei poteri e le libertà pubbliche ormai non esistono più nell’ex colonia britannica. E guarda caso, le elezioni legislative che si sarebbero dovute tenere a settembre (con una probabile grave sconfitta dei candidati fantoccio del regime), sono state rinviate con la “scusa” del Coronavirus. Senza i carri armati o i morti di Piazza Tiananmen nel 1989, il regime di Xi Jinping sta portando a termine il computo di distruggere definitivamente l’ultimo avamposto libero e democratico presente nel suo territorio. Nell’indifferenza generale

Nulla resta, insomma, dell’idea originaria di due diversi sistemi politici, uno autoritario ma totalitario, e l’altro di democrazia liberale, capaci di coesistere all’interno dello stesso Paese. L’ex protettorato britannico, che dal 1997 è tornato sotto il controllo della Cina, dalla primavera del 2019 porta avanti la sua battaglia per ottenere maggiore democrazia e libertà. Principi che erano stati assicurati, nell’accordo fra Regno Unito e Cina, almeno fino al 2047, quando la colonia sarebbe tornata definitivamente sotto l’egida del Partito Comunista Cinese. Negli ultimi anni, però, il controllo cinese sulla popolazione di Hong Kong si è fatto sempre più asfissiante e quando la governatrice Carrie Lam, emanazione di fatto del governo cinese sulla penisola, ha annunciato un provvedimento che avrebbe consentito di estradare in Cina i prigionieri di Hong Kong è definitamente scoppiata la rabbia della popolazione. Sulla penisola abitano otto milioni di persone, stipate in palazzoni enormi in cubicoli spesso ampi (si fa per dire) solo due metri quadrati. La ricchezza si è spostata sempre più altrove e se alla fine dello scorso millennio l’apporto di Hong Kong al PIL cinese sfiorava il 20% del totale, oggi – soprattutto grazie all’enorme crescita dell’ultimo ventennio da parte del colosso asiatico – quel dato è sceso fino al 3%. Numeri indicativi, che ben testimoniano da un lato come la Cina sia diventata di fatto la seconda potenza economica mondiale, che tallona da vicino la prima (gli Stati Uniti) e, dall’altro, di come il tema dei diritti e delle libertà individuali dei cittadini dell’ex colonia britannica impatti anche sull’Occidente, visto l’enorme potere che sta assumendo il Paese socialista. Non è un caso se ormai da tempo si parla di nuova Guerra Fredda, che non è più (non solo, almeno) quella ideologica che contrapponeva il blocco Atlantico con quello Sovietico negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, ma è soprattutto di tipo economico, che vede da una parte gli USA e l’Occidente e dall’altra la crescente (ma potremmo dire quasi imperante) economica cinese, che in questo momento non pare avere ostacoli, affiancata opportunisticamente dalla Russia di Putin che potrebbe risultare ago della bilancia della contesa. Anche se, come dimostra la vicenda di Hong Kong, l’autoritarismo con cui viene imposto il regime centrale sembra non voler “fare prigionieri”. Quindi lo stesso Zar russo deve stare molto attento a come si muove. Potrebbe presto pentirsi di alleanze che un giorno potrebbero risultare a dir poco ingombranti.

La Cina, negli ultimi tempi, si è fatta parecchi nemici anche dalle sua parti. Il Giappone, per operazioni sempre più arroganti nel Mar Cinese Orientale e Meridionale, l’India, con cui condivide un contrastato confine nella zona tibetana, e l’Australia. Dopo essersi comprata, letteralmente, quasi tutta l’Africa, la Cina negli ultimi tempi sta adottando politiche economiche particolarmente aggressive anche in Europa, sempre più dipendente a livello energetico di gasdotti e oleodotti di proprietà cinese. L’Europa si trova ormai quasi schiacciata in questa lotta fra gli USA di Trump e appunto i colossi asiatici, da cui dipendono sempre di più le nostre economie. Forse anche per questa ragione i pensieri degli statisti europei – alle prese con la più grande crisi d’identità da quando la CEE prima e la UE poi sono state create – hanno deciso di intervenire a sostegno delle economie europee gravate dal Covid 19. Per dare un segnale di unità e compattezza istituzionale ed economica, compattezza il cui percorso va ripreso e affrontato con sempre maggior convinzione per non rimanere schiacciati dalla morsa. Disgregarsi, in questo momento, non farebbe bene a nessuno se non proprio alla Cina, che vedrebbe il primo potenziale alleato degli USA “polverizzarsi” da solo.

Hong Kong, la cui protesta è rimasta congelata per qualche tempo a causa della pandemia globale, non ha mai rinunciato al proprio desiderio di libertà  e democrazia. I manifestanti, che hanno età diversissime, con adolescenti e universitari che non erano nemmeno nati quando nel 1997 quel territorio passò alla Cina ad anziani signori ultraottantenni che decino di affiancare i giovani in questa lotta identitaria. Gli abitanti della penisola, infatti, in gran parte non si sentono cinesi, ma hongkonghesi e la percentuale di persone che rifiutano l’attribuzione cinese è andata paradossalmente ingrossandosi nel corso degli anni. Frutto anche delle politiche sempre più aggressive che la Cina, disconoscendo gli accordi fatti con la Gran Bretagna, ha realizzato nel corso di questi primi decenni del XXI secolo. E proprio la Gran Bretagna di Boris Johnson, sentendosi probabilmente in parte responsabile del destino di quei luoghi a lungo controllati, è arrivato recentemente in soccorso della popolazione concedendo almeno a chi ha passaporto inglese (oggi circa 350mila persone) di poter andare a vivere in UK, aprendo la possibilità di richiedere il passaporto britannico anche ad altri cinque milioni di abitanti. Un’apertura che al momento appare l’unico atto di solidarietà dell’Occidente nei confronti della popolazione di Hong Kong, penalizzata dalla pandemia globale che ha distratto i governi e l’interesse mondiale sulla loro situazione spostando il focus altrove. Ma loro, gli abitanti di Hong Kong, di certo non demordono. Ormai è stata varcata la linea, il punto di non ritorno. A questo punto si andrà avanti a protestare. Delle cinque richieste fatte avere alla Lam una, il ritiro del provvedimento sull’estradizione, è stata accolta. Le altre quattro ancora no. Fra queste l’istituzione di una commissione di inchiesta sulle violenze perpetrate dalla polizia ai danni della popolazione durante le manifestazioni. Proiettili di gomma, gas lacrimogeni, arresti, sparizioni, violenze di ogni tipo.

La Cina ha voluto sedare la rivolta nel peggiore dei modi. E non a caso la già ricordata Piazza Tienanmen, da queste parti, viene celebrata ogni anno. Solo a Hong Kong, infatti, da oltre trent’anni si ricordano le vittime di quella rivolta pechinese soffocata nel sangue nel 1989, con una fiaccolata ogni 4 giugno che si svolge a Victoria Park. Quest’anno, causa covid, non è stata autorizzata, ma la popolazione – violando le disposizioni – si è radunata con mascherine e distanze d’ordinanza, ugualmente. Un modo, anche questo, per fare disobbedienza civile. Un modo per ricordare al mondo intero che se non appoggerà la loro protesta, questa potrebbe finire ancora una volta nel sangue.