Oramai il Governo Draghi si è insediato da qualche settimana; dalla gestione M5S del Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina si è passati a quella di Patrizio Bianchi, di area PD, ed è giunto il momento di cominciare a confrontarsi col nuovo corso o, meglio, col “cambio di passo”. Ne parliamo allora, con un’intervista a tutto campo, con Beatrice Pellegrini, Segretaria Generale Provinciale FLC (Federazione Lavoratori della Conoscenza) di Verona.

Pellegrini, siamo passati dal Governo Conte I al Conte II e, quando sono entrati in gioco i soldi veri del Recovery Fund, al Governo Draghi. Nel settore scuola si percepisce una discontinuità con le esperienze precedenti, il famoso “cambio di passo”?

«Al momento non vediamo alcun cambio di passo, perché di fronte ad un acuirsi del contagio la prima misura è stata chiuderle. Sembra che sia la cosa più facile: rispetto ai Paesi dell’UE, siamo quelli che hanno lasciato a casa gli studenti per ben 123 giorni in un anno, contro i 92 della Germania e i 43 della Francia. Le conseguenze le vedremo nei prossimi anni rispetto ai dati sul numero dei laureati e sulle classifiche sugli studenti europei.»

E il Ministro?

«Ha un altro spessore e le interlocuzioni avute sino ad ora sono positive, nel senso che sembra ascoltare maggiormente i sindacati; è meno autoreferenziale, convoca sui temi che di volta in volta proponiamo. Però, per ora, di misure concrete non ne abbiamo osservate; forse è prematuro, ma anche Draghi nel suo discorso di insediamento aveva lasciato intendere maggior attenzione e priorità alla scuola. La FLC, già da molto, sostiene che la “scuola si fa a scuola”.»

Quindi lei non fa parte dei sostenitori della Didattica a Distanza…

«Facciamo un bagno di realtà. Ci sono bambini che non riescono ad imparare a leggere e a scrivere a causa della DAD; studenti adolescenti a cui rubiamo un pezzetto importante della loro crescita. Pensate: chi è in prima superiore non conosce ancora i suoi compagni, chi è in quinta da due anni sta preparando il suo esame di stato per corrispondenza e ad intermittenza… Ci sono esperienze che i bambini del nido e dell’infanzia non potranno più realizzare. Temo che, nel futuro, ci accorgeremo dei danni irreparabili di queste chiusure.
Tornando al “cambio di passo”: era necessario non perdere altro tempo, e programmare altre soluzioni per far tornare a scuola tutti i bambini e i ragazzi: è dall’anno scorso che i sindacati chiedono di aumentare il personale per avere piccoli gruppi a scuola, di raddoppiare le corse dei bus, di favorire periodicamente e sistematicamente il tampone per rilevare eventuali focolai… e aumentare le misure di tracciamento in caso di positività.»

Il Governo Draghi, da alcuni dettagli, sul tema scuola lascia trasparire la volontà di abbandonare la visione dei Governi Conte e riprendere un progetto, già abbozzato da Renzi con la legge 107/2015, “la buona scuola”, di verticalizzazione e gerarchizzazione del sistema scolastico, magari con un recupero delle proposte del piano scuola di Confindustria. È impressione che condivide anche il sindacato?

«Per ora non si sono ricevuti specifici documenti e programmi; certo nella bozza, anche di Conte, per l’utilizzo dei fondi del Recovery Fund ci sono ricette vecchie e, purtroppo, il paradigma sembra essere sempre quello della cultura asservita all’impresa e all’economia. Draghi non sembra voler cambiare prospettiva: infatti, fa riferimento alla necessità di testare e mappare le competenze con i test europei, Invalsi etc… come se non sapessimo quali sono i nostri gap. Se i bambini in Italia iniziano la scolarizzazione a 6 anni, perché i nidi e le scuole dell’infanzia pubblici sono accessibili in percentuale ridotta e in modo disomogeneo – meno del 50% al centro nord, meno del 5% al sud – è chiaro che questo ha una ripercussione sulle competenze, sui livelli di apprendimento e di preparazione.»

Le dichiarazioni del Presidente del Consiglio sugli istituti tecnici sembrano però condivisibili.

«È giusto rafforzare gli istituti tecnici superiori, come dice Draghi, per qualifiche di specializzazione di secondo livello coerenti con la necessità del mercato del lavoro. Mi pare però che si inizi ancora una volta dal fondo e non dall’inizio. Ovvero: bene su questo punto, ma urgono più risorse per questioni non rimandabili: più risorse per un’edilizia scolastica più sicura, più adatta al tempo pieno; scuole belle e da ridimensionare, con al massimo 600/700 alunni; risorse per aumentare il tempo scuola a partire dalla primaria e secondaria di I grado; per innalzare l’obbligo scolastico a 18 anni; risorse per incrementare l’organico degli insegnanti, del personale ATA e del personale specializzato per il sostegno; risorse per favorire il reclutamento del personale per avere continuità didattica e guarire dalla “supplentite”; risorse per valorizzare il personale della scuola con retribuzioni adeguate e chiarezza sulle norme contrattuali.»

A proposito di contratti. Il cambio di passo ha portato a cambiamenti concreti sotto questo aspetto?

«L’unico atto concreto è stato il patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale, siglato da Renato Brunetta – Ministro per la Pubblica Amministrazione – e i sindacati confederali. Il documento è un impegno politico, esprime orientamenti e direttive. Ci sono alcuni aspetti positivi indiscutibili come la volontà del rilancio della PA [Pubblica Amministrazione, N.d.A.] con l’investimento sulle risorse umane, la previsione della riforma dell’ordinamento professionale, il ricambio generazionale, la formazione continua. Nel patto si prende l’impegno di salvaguardare l’elemento perequativo assorbendolo definitivamente nella retribuzione dei dipendenti pubblici e non dovendolo così stanziare in ogni legge di bilancio; c’è la volontà di regolamentare con contratti nazionali il lavoro agile e di rafforzare la contrattazione decentrata. Però, secondo me, ci sono pure delle trappole come, per esempio, la valutazione oggettiva della produttività (come si misura per la scuola?), il welfare aziendale e altro… Certo, Brunetta si riferisce a tutto il Pubblico Impiego, mentre – secondo noi – la scuola ha una sua specificità da salvaguardare.»

Vi vedrete per discuterne?

«Siamo in procinto di avviare le trattative all’ARAN [Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni, N.d.A.] per il rinnovo del CCNL, il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro. Quando uscirà l’atto d’indirizzo – atto preliminare per la contrattazione – vedremo se le belle parole scritte da Brunetta si concretizzeranno.»

Si avvicina l’estate: in una recente dichiarazione sul Corriere della Sera il Ministro Patrizio Bianchi afferma di voler aprire le scuole a luglio con professori volontari e volontari non professori. Le sembra fattibile?

«Allungare il tempo scuola d’estate è un’altra soluzione semplicistica e ragionieristica. Rispetto al primo piano presentato da Azzolina, che prendeva in considerazione l’allungamento del calendario scolastico, Bianchi sta facendo un ragionamento diverso. Intende pensare alla scuola aperta nei mesi estivi per attività anche ricreative, per recuperare le relazioni e le esperienze in gruppo con progetti scelti ed elaborati nell’ambito dell’autonomia istituzionale, con personale volontario, con l’aiuto e il supporto di operatori di altri settori. Lo dico francamente: noi sindacati non siamo contrari sul fatto che che ci siano soluzioni e ipotesi di recupero ed attività specifiche per gli studenti, è un atto dovuto vista la situazione. Tuttavia le soluzioni si possono trovare se si mettono in campo risorse: inaccettabile sarebbe invece obbligare i docenti e il personale della scuola a fare anche questa integrazione. Sarebbe come affermare che sino ad oggi con la DAD non si sia svolto attività d’insegnamento e non è affatto vero».

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