Una pioggia di miliardi, complessivamente 2.650 per la precisione, dalla bocca di fuoco dell’Europa. Cosa mai vista in passato: per la prima volta nella storia la UE ricorre al debito comune e risponde all’emergenza con l’azione più potente e rapida che abbia mai intrapreso. Mai come questa volta, e francamente era ora, l’Europa ha mostrato di esistere. E l’Italia ne beneficia: riceveremo 209 miliardi dal Recovery Fund, 36 (se vi accederemo) dal Mes, 10 dal fondo antidisoccupazione Sure: potremo attingere ulteriori risorse dai 200 miliardi messi a disposizione dalla Bei, e dai 1.350 del Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp) stanziati dalla Bce.

Sul Recovery Fund, dopo quattro giorni di duro e aspro confronto, è indiscutibile che il governo italiano abbia riscosso un successo, ma la vera partita, e qui ci giochiamo il nostro futuro, inizia però adesso: vitale saper utilizzare queste risorse per approntare quelle riforme strutturali e l’ammodernamento delle infrastrutture che il Paese chiede da tempo. Ora o mai più. Chissà che nel delicatissimo prossimo futuro che ci attende, sotto la lente vigile e severa dell’Europa, non le vedremo materializzarsi andando finalmente oltre le promesse delle vane parole. Siamo come quell’alunno che per anni ha vivacchiato godendosela beatamente approfittando del lassismo del corpo docente. Ora, marcato stretto da una commissione esterna di professori severi ed esigenti, l’alunno i compiti non solo li dovrà fare, ma li dovrà fare pure bene. Non ha altra scelta.

Giuseppe Conte

Giuseppe Conte ha vinto il primo round, riscuotendo un successo politico su scala internazionale: già a marzo il nostro governo invocava un debito comune europeo per fronteggiare la crisi (gli Eurobond); ha alla fine portato a casa i 209 miliardi del Recovery Fund. Pur senza lasciarsi andare, come purtroppo qualcuno fa, a stucchevoli fanfare, c’è da esserne soddisfatti. Lo ha riconosciuto del resto, sia pur con i dovuti distinguo, quasi tutto l’arco dello schieramento parlamentare. Quasi. Perché c’è chi non ha rinunciato a negare l’evidenza. Mastica bile a bocconi Matteo Salvini: «È una fregatura», così ha bollato il Recovery Fund con a fianco il senatore Alberto Bagnai, antieuropeista per eccellenza che vedrebbe di buon grado un’uscita dell’Italia dall’Euro. Non proprio la più azzeccata delle strategie. Ma come, nel giorno che l’Europa batte finalmente un colpo e mette sul tavolo fior di quattrini che per noi sono una manna, tu non trovi di meglio che presentarti con a fianco uno che la vorrebbe demolire…? Scelta incauta e inopportuna a dir poco.

Salvini, è stato persino smentito dal leader dei sovranisti olandesi, suo amico e alleato, Geert Wilders: «Ci credo che Conte sia soddisfatto: ha ricevuto 82 miliardi di regali dai nostri soldi» ha dichiarato quest’ultimo. «Nessun regalo, è una resa senza condizioni alla Commissione» ha replicato il nostro. Si mettano d’accordo. Che il Recovery Fund sia la diabolica arma escogitata da Francia e Germania per mettere a nudo, sferrare un duro colpo e spaccare il fronte delle “fuffe” populiste, è più che un indizio. Ed è proprio questo che al nostro seriale divoratore di ciliegie non va giù. Diciamo che stavolta ne ha ingoiata una di troppo e gli è pure rimasta sul gozzo.

Salvini e Bagnai

Nella destra di casa nostra, Giorgia Meloni, pur decisa e dura nella critica, ma attenta a mantenere un diverso profilo di apertura, ringrazia per tanta miope imprudenza e, sondaggi alla mano, ci guadagna. Quel che resta di Forza Italia si spinge addirittura oltre. Il governo tra litigi e respiri affannosi intanto tira dritto e incassa un bel dividendo. La battaglia ingaggiata a Bruxelles premia Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri dei buoni uffici che hanno saputo allacciare con Angela Merkel e Emmanuel Macron, i registi dell’operazione: il risultato sul Recovery Fund, non ne è in tutta evidenza che il frutto. Immaginate che al governo avessimo Salvini primo ministro e Bagnai reggente dell’economia: sarebbe stato altrettanto…?  A voi la risposta, ma vien da ridere solo a immaginarlo un simile scenario.

Conte e Merkel
Conte e Macron

Sarà il caldo che annebbia le menti, ma l’estate non porta bene a Matteo Salvini; un anno fa mise a segno un clamoroso autogol tra i mojiti del Papeete; quest’anno, mentre Luca Zaia mette la freccia sul circuito dei consensi leghisti e non solo, si erge a improvvisato alpinista arrampicandosi sugli specchi. Così non va. Ci permettiamo allora un bonario suggerimento: se oltre ai soliti quattro accondiscendenti cortigiani, attorno ha qualcuno che davvero gli vuol bene, è ora che si faccia avanti e si dia da fare. Pare ce ne sia bisogno. E non gli porti ciliegie.