Dopo aver fatto un salto in Cina ieri, con l’intervista a Sara Platto, una delle ultime italiane rimaste a Wuhan oggi – nella Giornata internazionale della libertà di stampa – abbiamo parlato, nel nostro quotidiano appuntamento con “Succede alle 31” di Stati Uniti e del loro presidente Donald Trump e lo abbiamo fatto con la collaborazione di due americanisti doc come gli avvocati veronesi Alessandro Tapparini e Mattia Magrassi. Si è partiti, ovviamente, dalla più stretta attualità e quindi dall’emergenza sanitaria creata dal Covid-19, che in questo momento sta colpendo pesantemente soprattutto la zona di New York.

«La situazione negli Stati Uniti sarebbe assolutamente sotto controllo se non fosse per lo Stato di New York e del New Jersey, che hanno dati sette volte superiori al resto della federazione di Stati – ha spiegato, infatti, Alessandro Tapparini, collaboratore di alcune testate fra cui anche “Heraldo” -. Per la prima volta, venerdì scorso, la Grande Mela ha dichiarato meno di 300 decessi. Anche se i dati sono in costante calo, la situazione è decisamente grave. Vale però la pena valutare che circa la metà dei 66mila decessi di covid-19 sono concentrati proprio in quella zona, mentre altri focolai si trovano in Michigan con Detroit, il Massachussetts con una piccola propaggine del Connecticut e la Louisiana con New Orleans, che conta circa duemila decessi. Mettendo insieme tutti i decessi in questi sei stati arriviamo a circa 44mila decessi, quindi a oggi rimangono 20mila decessi nei restanti 44 Stati, fra cui la California che con i suoi 40 milioni di abitanti è lo Stato più popoloso. Una media di 5 decessi ogni 100mila abitanti, insomma.»

Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump

Su questo argomento è intervenuto anche Mattia Magrassi, presidente del Limes Club di Verona e collaboratore di Atlantico Quotidiano dove spesso scrive di ciò che avviene oltreoceano. «A cavallo fra gennaio e febbraio gli Stati Uniti uscivano da un accordo con la Cina e Trump beneficiava dell’assoluzione nella vicenda sull’impeachment, quindi con una situazione politica favorevole. Quando è arrivato il virus negli States inizialmente ha tentato di minimizzare e di proiettare fiducia, perché aveva capito subito che il Coronavirus avrebbe inciso sull’andamento dell’economia. Quando, però, l’epidemia ha cominciato a colpire in maniera significativa Trump si è concentrato sull’aspetto pratico-organizzativo del problema, per cercare di contenere il contagio e risolvere nel più breve tempo possibile la questione. Ciò lo ha inevitabilmente esposto anche a molti rischi di comunicazione, però ora gli States sono già proiettati alla fase 2.»

La nuova responsabile della comunicazione di Trump, Kayleigh McEnany

E a proposito di comunicazione presidenziale, inevitabile, ormai, parlare di un’epoca pre e post-Trump. «Trump ha rotto gli schemi e percorso sentieri mai battuti prima già durante la campagna elettorale di quattro anni fa – ha sottolineato Tapparini – e in questo periodo non ha mai modificato questo suo modo di relazionarsi con il pubblico. La sua scelta è di comunicare come se si stesse sempre rivolgendo alla parte più semplice e meno istruita del suo popolo e del suo elettorato. Rinuncia, quindi, a qualsiasi raffinatezza, attenendosi sempre in modo molto studiato a un lessico alla portata della persona più semplice. La sua priorità è arrivare a chi ha strumenti molto limitati all’ascolto.»  «Trump possiamo amarlo o odiarlo, ma ha la capacità unica di accentrare su di sé l’agenda mediatica. – ha aggiunto Magrassi. – Anche nella nostra percezione di europei sembra che negli Stati Uniti non esista molto altro, oltre a Trump.»

Questi sono solo alcuni degli spunti emersi durante l’incontro, nel quale si è parlato anche di politica estera degli Usa, di nuova guerra fredda con la Cina, ma anche di economia interna, di disoccupazione, di Partito Democratico e Joe Biden arrivando, ovviamente, alle prossime elezioni presidenziali.