A poche ore dalla sua elezione a presidente del Parlamento europeo, dopo la morte di David Sassoli, intorno a Roberta Metsola sono fioccate le analisi sulla pertinenza politica della sua figura. Esercizio legittimo da parte di stampa e opinione pubblica, ma mettiamoci anche che si tratta della terza donna a ricoprire un ruolo cardine di leadership europea insieme a Christine Lagarde, alla guida della Bce, e a Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea. Senza dubbio, un evento che pare segnare un cambio di passo storico.

Se non fosse che tutto ciò non sta accadendo sul fronte delle forze storicamente progressiste, che da tempo dichiarano di sostenere le istanze femministe.

Il sorpasso a cui assistiamo viene da destra.

Una lezione per la sinistra, dice Mentana

Di area conservatrice, esponente dei Popolari, (parimenti von der Leyen viene dalla Cdu tedesca, Lagarde invece è stata più volte ministra con i governi Chirac e Sarkozy) Metsola emerge da quell’oltre 36% di donne presenti nel Parlamento europeo.

Percentuale cui si avvicina anche la presenza femminile nelle aule del Senato e Camera italiane: le politiche del 2018 hanno registrato il 35% di donne elette. Ma anche in questo caso la maggiore rappresentanza parlamentare si trova nell’area di centro-destra. E ora che è arrivata Metsola, il dibattito si è riaperto, complice anche un post del giornalista Enrico Mentana ripreso da Giorgia Meloni.

Non è nuovo Mentana a queste osservazioni: già in un’intervista di fine maggio scorso aveva affermato che «A destra c’è più spazio se una è capace». Frase che il giornalista lega a quanto la sinistra sia ancora figlia della Prima Repubblica. Sintesi condivisa dai più, ma in questi giorni in cui tutti gli occhi sono rivolti al Colle, la discrepanza, non solo di rappresentanza numerica ma anche qualitativa sul piano della leadership, è tutt’altro che peregrina.

Eleggiamo “una donna”

Si ironizza sulla proposta al Quirinale di “una donna”, senza particolari slanci e tanto meno convergenze trasversali. Nonostante abbondino interviste sui giornali a esponenti di tutti gli schieramenti in cui emerge unanime l’approvazione dell’idea, il toto-nomi sembra più una forma di melina che essere frutto di un vero e proprio convincimento politico.

In un post del 19 gennaio, la giornalista Flavia Perina ironizza sui destini di un immaginario partito della Donna al Quirinale.

Però lo abbiamo già visto, la “Nostra” rischia di ridursi alla filastrocca della Bella di Torriglia, “che tutti vogliono ma nessuno se la piglia”. Esemplare la vicenda di Emma Bonino nel 1999, che addirittura si candidò con tanto di comitato elettorale e spot pubblicitari. Come andò a finire lo sappiamo. Bonino stessa, a più riprese tirata in ballo in questi giorni, intervistata da Repubblica ha sferzato una considerazione netta, dicendo «credo proprio che il mio momento fosse anni fa».

La partita della parità

Sono passati 23 anni e ancora, nella medesima circostanza, la questione “una donna al Colle” è un tema che costringe i partiti a un bagno di realtà. Specie a casa dello schieramento che della parità di genere fa bandiera identitaria, grazie anche al peso di figure storiche come Nilde Iotti (ormai nominata a mo’ di simulacro), e di Lina Merlin.

Fatto sta che sempre il toto-nomi ha tirato fuori, oltre alla “tecnica” Marta Cartabia, due donne di destra – Letizia Moratti ed Elisabetta Alberti Casellati – che hanno raccolto qualche credito, mentre la sinistra sembra rispondere vagamente e per cortesia, senza indicare una qualche preferenza.

La consigliera comunale del Partito democratico Elisa La Paglia.

La questione si riverbera dai territori alle maggiori cariche internazionali e ritorno. A Verona prese posizione nel febbraio 2021 la consigliera del Partito Democratico Elisa La Paglia, che in un’intervista rilasciata a Heraldo disse:

«ritengo incongruente contestare l’assenza di una donna Pd al Governo (Draghi, ndr), difendendo e promuovendo il sistema che ha portato a questo risultato, senza metterlo in discussione. Questa è la grande incoerenza tra il Pd e le sue politiche sulla parità di genere».

La riflessione riguardava la mancata candidatura alla guida di tre ministeri da parte Dem, ma pare essere senza tempo, alla luce di quanto è accaduto nella leadership europea, a fronte della funzione di contorno che l’argomento sta ricoprendo in queste ore di gossip-Quirinale.

Donne, politica, diritti: non è come sembra

Tornando a Metsola: può oggi una donna che assume potere in politica non riconoscere, ad esempio, i diritti riproduttivi, come il ricorso all’aborto legale e sicuro? La posizione sul tema della neo-presidente del Parlamento europeo è chiara e si allinea con il suo Paese, Malta, unico in Europa a considerare illegale l’interruzione di gravidanza. Può essere che Metsola assecondi più il ruolo e il senso di responsabilità di fronte all’Unione, rispetto ai principi in cui si riconosce e per i quali è stata eletta – le sue dichiarazioni non sono andate nettamente in questa direzione, ma sarà l’operato dell’intero emiciclo di Strasburgo a metterla alla prova -.

Letizia Moratti negli anni del suo incarico a sindaca di Milano. Foto di Bruno Cordioli, Flickr CC BY 2.0.

E da noi, restando nel fanta-nomine di questi giorni: una ipotetica Letizia Moratti presidente della Repubblica farebbe oggi il paio con la posizione che prese nel 2006, fresca di elezione a sindaco di Milano, quando disse di voler essere appellata “signor sindaco”?

A molti e molte pare questione da ridere e invece sta anche lì la distanza tra il 1999 di Bonino e oggi. Non una grande conquista, d’accordo, ma almeno ci si domanda se dietro il ruolo di potere ci sia anche una persona, una identità capace di imprimere un avanzamento anche grazie a ciò che è e non solo in base alla squadra cui appartiene.

Viene insomma da chiedersi quanto la presenza delle donne in politica debba rispondere a una figura omogenea, senza sfumature, per potersi legittimare, innanzitutto davanti alle elettrici. Le cui storie però possono essere di militanza femminista, oppure frutto di una consapevolezza più o meno matura, o di disinteresse e di asservimento a una cultura maschile cui si sono conformate (e questo è tema senza partito).

Un modello ideale dalla fattura irreprensibile e senza macchia non lo troviamo tra gli uomini politici. Se capita (la figura dello scomparso Sassoli ne è l’esempio) è quasi glorificato per la sua eccezionalità.

Su questo aspetto varrebbe la pena di fare una riflessione, dato che siamo coscienti di vivere in tempi di sfumature, diversità, soggettività in cerca di spazio sociale, non di ideologie (belle, brutte, buone, cattive) che ci dicano chi siamo e cosa dobbiamo fare. Tanto che nell’urna scegliamo e, volente o nolente, ci rappresentiamo.

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