Incarnano la voglia di non fossilizzarsi su un genere soltanto gli Younger Son. Pur avendo riferimenti forti (il vecchio e sano rock su tutti) i ragazzi hanno anche delle visioni personali e chiare. Coraggiosamente proposte, live e su disco, durante gli anni. Ma nell’era social è paradossalmente più complesso far risaltare la qualità musicale, spesso soffocata da quintalate di hype, post, apparenza. Rispondono tutti gli Younger Son

Quali sono i motivi che ti hanno spinto a fondare gli Younger Son?

Daniele Rigatino Furia: «Quando io e Gabor abbiamo fondato gli Younger Son, intorno al 2008, volevamo creare un gruppo nel quale sentirci liberi di sperimentare, comporre e arrangiare i nostri brani. Volevamo dare una forma definita a musica che ci rappresentasse veramente, e non limitarci a suonare le cover dei nostri gruppi preferiti. Cercavamo di scrivere delle canzoni nelle quali poterci riconoscere senza maschere o atteggiamenti impostati, come chiunque altro prima di noi, insomma.

La musica è un linguaggio che molta gente assimila in modo inconscio. Immagino che chiunque cerchi di formare una band sia alla ricerca di un proprio vocabolario personale, per esprimere la rabbia della propria vita, e poi la gioia, le frustrazioni, le emozioni più segrete. Anche noi volevamo dire qualcosa di nostro, qualcosa di vero. Volevamo lasciare un segno e c’abbiamo provato. Forse non avevamo le idee del tutto chiare, forse potevamo fare qualcosa di meglio ma ripensandoci, ora, mi rendo conto che l’abbiamo sempre fatto con passione e con sincerità. E questo mi rende orgoglioso del nostro lavoro. In poco meno di cinque anni abbiamo realizzato tre album da studio completamente indipendenti, ciascuno accompagnato dall’uscita di video musicali, più una raccolta di inediti-live in sei volumi e una lunga serie di concerti in Italia e all’estero. Ripensarci mi fa una certa impressione. »

Come vedete la situazione musicale veronese e come la vivevate in passato e vivete oggi?

Gabor Agoston: «Penso che la situazione musicale veronese non stia attraversando un momento molto positivo; non si deve considerare necessariamente un’identificazione territoriale comunale e provinciale, ma sfortunatamente credo che rispecchi ormai la situazione nazionale. Vari fattori contribuiscono a peggiorare la situazione, tra questi sicuramente il minor interesse da parte dei locali e delle strutture che possono ospitare eventi musicali. Chiaramente questi rispecchiano il poco interesse del pubblico all’ascolto di qualcosa di nuovo, che non sia legato ai talent show e ai reality. Sembra ormai che il “pass” per entrare nell’ambito della grossa distribuzione sia fornito solo dal numero dei fan sui social. Penso che in passato ci fosse molta più voglia di offrire qualcosa di nuovo ad un pubblico molto più voglioso di sentire, o meglio ascoltare, qualcosa di nuovo. Al giorno d’oggi il pubblico è assuefatto da vera e propria “immondizia artistica” (e mi riferisco a ogni genere di arte) e questo fa sì che si uccidano le nuove proposte. Tanti gruppi indie del passato non ci sono più. Come si può intuire ho una visione del futuro piuttosto negativa e in costante declino.»

Che tipo di rapporto avete con i concorsi musicali? So che ne avete vinto più di uno…

Emanuele Marogna: «I concorsi musicali sono stati un’occasione per metterci alla prova e per crescere dal punto di vista dell’esecuzione live, anche se generalmente non sono i concorsi che permettono di acquisire una visibilità tale da diventare il gruppo “trendy” della città piuttosto che di una scena. La partecipazione a tali concorsi è facile, ma la possibilità di essere selezionati è ridotta al lumicino. Comunque i gruppi che hanno una formula originale e in linea con i tempi sono sempre ripagati, in qualche modo.»

Avete all’attivo due album ed un ep. Che tipo di lavoro avete fatto su ognuno e quali sono le canzoni del repertorio che preferite?

Michele Cavallaro: «Io sono entrato nel gruppo solo dopo la realizzazione del primo disco Seasons, che mi piace molto in quanto spontaneo, genuino, “grezzo” e raffinato allo stesso tempo. Dentro c’è pop, blues, rock ‘n’ roll. Beagle è stato il pezzo che ho ascoltatoquando mi è stato offerto di entrare nel gruppo e non ho avuto dubbi su cosa fare! Ho invece partecipato a Colours, registrato tutto in presa diretta con i nastri analogici come si faceva un tempo. Per me è stato un passo importante e l’esperienza ci ha resi senz’altro più professionali e maturi. Il disco è un caleidoscopio di quello che è il gruppo: gruppi degli anni ’60-‘70 come Beatles, Beach Boys, Rolling Stones, Kinks, The Who, i primi Pink Floyd, The Doors e quelli Britpop anni ’90 come Oasis, Primal Scream, Blur o Supergrass. I pezzi che preferisco sono i due che ho composto: Maryblue e Plasticine. In quest’ultimo mi sono cimentato prima volta nel cantato solista. Ma il disco mi piace davvero tutto, copertina compresa. Lo abbiamo registrato in una settimana durante una torrida estate a Il SottoIlMare di Luca Tacconi, una persona squisita con la quale spero torneremo ancora a collaborare in futuro. Per quel che riguarda The Brain Train c’è da fare una premessa. Nel 2013 abbiamo vinto una gara per band emergenti, il Tiro Contest. Il primo premio era una seduta di registrazione nel TransEuropa Studio di Torino, nel quale hanno registrato molti artisti nazionali e anche internazionali. Lo studio era già occupato per alcuni mesi, così abbiamo dovuto aspettare un po’, arrivandovi la primavera dell’anno seguente. Durante il soggiorno a Torino ci ha seguiti Fabrizio Chiappello, il gentilissimo titolare. I sette brani denotano un lavoro ancora rock-pop, blues e psichedelico, ma più dark. Contiene atmosfere più anni ’80-’90. Per quel che riguarda il supporto fisico avevamo pensato ancora una volta di cambiare e di fare qualcosa di diverso dalle cose fatte in precedenza. Così abbiamo realizzato una speciale chiavetta usb con il logo del nostro gruppo alloggiata all’interno di una normale confezione per cd. Vi abbiamo anche inserito i testi delle canzoni, foto promozionali, video musicali e naturalmente i file audio in versione mp3. Il brano che preferisco è sicuramente quello strumentale, che dà il titolo al disco.»

Dove provate e quante/quali sale prova avete frequentato in passato?

Daniele Rigatino Furia: «All’inizio abbiamo frequentato un sacco di cantine e di garage, a cominciare da quello della casa dei miei genitori. Poi ci siamo spostati in sale prove insonorizzate e dotate di impianto, perché  avere uno spazio e delle attrezzature adeguate cominciava a fare la differenza tra il limitarci a strimpellare e cercare di curare un po’ meglio il nostro suono. Per diversi anni abbiamo provato in sale prove private, allestite nel quartiere Zai, poi ci siamo spostati per un certo periodo a Dossobuono. Ora proviamo in una sala all’interno di una struttura comunale di Caselle di Sommacampagna, gestita dall’Associazione Atena, nella quale ci troviamo molto bene.»

Cosa pensate di internet come strumento di diffusione musicale?

Gabor Agoston: «Internet è sicuramente uno strumento molto utile, anche se forse lo era più in passato. 10-15 anni fa solo pochi eletti avevano le capacità di inserire contenuti, nel nostro caso musicali, all’interno della rete. Pochissimi gruppi indipendenti avevano una pagina propria con addirittura un dominio personalizzato. Solo con l’avvento di MySpace anche i meno esperti ebbero la possibilità di essere presenti online e si diede così modo alla folla musicale di farsi scoprire da un pubblico vasto. Con una così ampia offerta musicale l’interesse per la singola band è diminuito di conseguenza. Siamo quindi sicuri dell’efficacia della promozione online, che si diffonde a tutti ma in realtà non raggiunge nessuno?»

Qual é il vostro locale preferito tra città e provincia e per quale motivo?

Emanuele Marogna: «Il Canara, la roba da bere costa poco… Scherzo. Per i live sicuramente ci sono tanti circoli Arci interessanti come quello appena citato, ma in assoluto il locale/associazione in cui suonare ed ascoltare live notevoli rimane Interzona, per le proposte originali ed internazionali. Anche se ultimamente le proposte di live con musica improbabile sono davvero poche. Per il resto la scena a Verona sta subendo una crisi mai vista. Da sottolineare l’impegno del Red Zone a San Giorgio e del bar Trenta di Peschiera, in cui si trovano sempre concerti interessanti e in cui chi suona viene coccolato davvero in maniera impeccabile.»

Quali sono le band veronesi che ritenete migliori e quali quelle con cui avete legato particolarmente?

Michele Cavallaro: «Un gruppo di Verona che, incredibilmente, riusciva a piacere a tutti e quattro erano I Resti d’Arcadia, con i quali abbiamo condiviso alcune date.  Al momento mi pare che non stiano più insieme, se è così spero che tornino presto a collaborare di nuovo tra loro. Il bello della scena musicale di Verona è che è stata sempre molto fiorente e produttiva fin dagli anni ’60 con i gruppi Beat. Tornando a noi mi piacevano moltissimo i Fake P ma pure Canadians, Home, Bikini The Cat, Dead Man Watching, Lord Byron & Le Sue Amiche Ruspe, Tacita Muta e sopratutto i Carnera FM, nei quali suonava anche il mio attuale partner alla sezione ritmica Emanuele Marogna. Tra i solisti direi il bluesman Dirty Lorenz e i cantautori John Mario e Jacopo Gobber, con il quale ho fatto un paio di album e suonato tanto in passato. Li ho seguiti tutti con entusiasmo. Attualmente mi piacciono molto i C+C=Maxigross e la scena musicale della Lessinia. Li stimiamo molto e un giorno vorremmo diventare bravi come loro.»

Discografia:

Seasons (2011)

Colours (2013)

The brain train (2014)

Formazione: Daniele Furia, Gabor Agoston, Emanuele Marogna (ex – Michele Cavallaro, Alberto Amadori, Antonio Iannantuono).