Step by step: lo studio epidemiologico sul Covid-19 a Verona
Questa mattina è stata illustrata la fase operativa dello studio epidemiologico che valuta la distribuzione del virus Sars-Cov-2 a Verona.
Questa mattina è stata illustrata la fase operativa dello studio epidemiologico che valuta la distribuzione del virus Sars-Cov-2 a Verona.
I campioni biologici per lo studio sul Covid19 vengono prelevati al centro diagnostico terapeutico di Via San Marco, l’area sanitaria a Verona dell’Ircss Ospedale Sacro Cuore di Negrar. Per garantire il distanziamento sociale e la maggior sicurezza possibile, è stato allestito un vero e proprio circuito ad anello e a senso unico.
Il primo step è all’ingresso del padiglione, dove viene misurata la temperatura. Con più di 37.5 °C si viene inviati alla zona drive-in per l’esecuzione del solo tampone nasofaringeo attraverso il finestrino aperto dell’auto, stando seduti nell’abitacolo. Diversamente si inizia il percorso “pulito”: compilazione del questionario e sottoscrizione dei moduli per la privacy, accettazione, misurazione dei parametri vitali e prelievo di sangue per la ricerca degli anticorpi al Covid-19. Dopodiché si esce dalla struttura e in auto ci si sposta nell’area esterna dei tamponi “on the road”. Tempo stimato: dieci minuti. «Nel giorno di punta abbiamo scrinato 293 pazienti», spiegano gli operatori sanitari.
Avanti così dal 24 aprile e fino al 6 maggio, quando terminerà la fase operativa del primo studio epidemiologico in Italia che valuta la distribuzione del virus Sars-Cov-2 in una città. Noi di Heraldo ne avevamo parlato pochi giorni fa con il coordinatore dell’indagine, il dottor Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia del Sacro Cuore, e il biostatistico Massimo Guerriero, ideatore del progetto.
Nel comune veronese, che è tra i più colpiti del Veneto, la ricerca avrà forti ricadute sulla gestione della cosiddetta “fase 2” della pandemia, quella della ripartenza. Non a caso l’arrivo dei macrorisultati sulla prevalenza, nella popolazione, di cittadini affetti da Covid-19 è previsto entro il 17 maggio, vigilia del giorno in cui – salvo contrordini – inizierà l’allentamento delle misure restrittive con il riavvio graduale e in sicurezza della ristorazione, del commercio al dettaglio e dei servizi alla persona. Un’elevata percentuale di asintomatici, per esempio, indicherebbe maggior prudenza nel procedere con le aperture, per il rischio che il contagio si diffonda. Invece un alto numero di persone sane richiederebbe una maggiore azione preventiva in vista dell’autunno, per non farsi trovare impreparati davanti a una possibile seconda ondata di Covid-19.
Intanto sono 1.079 i veronesi che hanno risposto sì all’invito a partecipare allo studio. Di questi, 859 sono già stati scrinati: 51 hanno dai dieci ai 17 anni; 135 dai 18 ai 34 anni; 172 dai 70 anni in su. Finora solo 14 persone hanno rifiutato di aderire. In più, a oggi, 23 delle 76 persone che per vari motivi non possono muoversi sono state raggiunte a domicilio da un’unità mobile dell’ospedale di Negrar con a bordo un medico e due infermieri, oltre all’autista.
Pomari, Guerriero e il sindaco Federico Sboarina sono soddisfatti. «I dati raccolti scatteranno la fotografia di com’è stata colpita la nostra città dal nuovo coronavirus. In altre parole emergerà la percentuale di coloro che sono stati infettati senza saperlo, di coloro che hanno contratto il virus e di coloro che sono sani. Con un margine di errore dell’1,5 per cento», spiegano.
L’indagine, lo ricordiamo, si svolge su un campione statisticamente rappresentativo della popolazione: 2.061 cittadini con almeno dieci anni d’età i cui nominativi sono stati estratti con criterio casuale dagli elenchi dell’Anagrafe del Comune di Verona, che collabora all’indagine assieme alla Ulss 9, alla Pneumologia dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata e al dipartimento di Diagnostica e sanità pubblica dell’ateneo veronese.
Il tampone riconosce la presenza o meno del Sars-Cov-2 nel momento in cui viene eseguito il test, mentre l’analisi del sangue individua gli anticorpi che dimostrano di essere stati contagiati e di aver superato l’infezione. Invece il questionario serve a tracciare gli eventuali sintomi e capire se ci sono (e se sì, quali sono) altri campanelli d’allarme, oltre alle manifestazioni cliniche più frequenti: febbre, tosse, difficoltà respiratorie, alterazioni del gusto e dell’olfatto. Costituiscono una sorta di lasciapassare per la fase 2, ma i dati emersi dall’analisi dei campioni «ci permetteranno anche di fare ricerca. Almeno per i prossimi due anni», spiegano Pomari e Guerriero.
(Foto di Laura Perina)