Oggi nella diretta “Succede alle 31” con la collega giornalista Laura Perina abbiamo trattato un tema molto sentito per l’attualità degli argomenti: ripartire a Verona in sicurezza nella Fase 2 dell’emergenza Coronavirus. Due ospiti importanti hanno tenuto alta l’attenzione, il professor Carlo Pomari, responsabile di Pneumologia dell’IRCSS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, e il professor Massimo Guerriero, biostatistico dell’Università di Verona. 

I due professionisti hanno avviato uno studio epidemiologico, che vede Verona capofila in Italia, sull’individuazione di quei pazienti positivi al Covid-19, che però dal punto di vista clinico risultano asintomatici.

L’indagine, volta ad affrontare la Fase 2 dell’emergenza, è promossa dall’Ospedale Sacro Cuore di Negrar in collaborazione con il Comune di Verona, l’Asl 9, la Pneumologia dell’Azienda ospedaliera e il Dipartimento di Diagnostica e Sanità pubblica dell’Università di Verona: «L’obiettivo è di vedere quante persone siano state a contatto con questo virus senza magari accorgersene – ha spiegato il professor Pomari –. I cosiddetti pazienti asintomatici, infatti, sono i più pericolosi perché non avendo sintomi e non sapendo di avere il virus girano tranquillamente e possono essere infettivi.» 

«Questa è un’indagine campionaria – ha sottolineato il professor Guerriero, ideatore del progetto  –. Ciò significa che non ci sono presupposti per fare un’indagine totale, che sarebbe lo studio da preferirsi perché, se potessimo analizzare tutti cittadini veronesi, noi sapremo dire con certezza quali sono i livelli di diffusione del virus, quante persone sono ancora con il virus attivo in questo momento e quante persone invece non sono mai venute a contatto con il Covid-19. Siccome ciò non è attualmente possibile per motivi di tempi e di costi, abbiamo individuato un campione statisticamente rappresentativo della popolazione veronese, di entrambi i sessi e di almeno 10 anni compiuti. Abbiamo deciso di escludere a priori i bambini al di sotto di questa soglia di età, poiché ad oggi non ci sono evidenze scientifiche che riportino di bambini sotto i 10 anni portatori del virus, se non in casi isolatissimi.»  

Si tratta di un campione rappresentativo «perché nella scelta a priori non sappiamo quali saranno i soggetti, caratteristica fondamentale che deve avere il campione – ha precisato il professor Guerriero –. L’altra caratteristica dell’indagine è che le unità selezionate non devono avere nulla in comune. In questo, con la collaborazione del Comune di Verona, e in primis con il sindaco Federico Sboarina che ci ha permesso di accedere agli archivi dell’anagrafe, abbiamo estratto 2.061 unità statistiche rappresentative delle 235mila persone dai 10 anni in su. Con dei generatori di numeri causali si sono creati delle cifre associate ai cittadini. Attualmente abbiamo analizzato 700 unità e il margine di errore sarà solo dell’1,5%. Questo è importante perché se volessimo studiare qual è la proporzione di veronesi che sono stati a contatto con il virus ma che non hanno sviluppato nessun sintomo di quelli collegati al Covid-19, gli asintomatici o i paucisintomatici, la stima che noi andremo a fare, in percentuale, sarà molto accurata.»

L’indagine combina due esami che vengono refertati in laboratorio. «Come per qualsiasi malattia infettiva, nel nostro corpo avviene un processo – ha ripreso il dottor Pomari –. C’è una fase in cui il virus dalle mucose comincia a penetrare nelle nostre cellule e a replicarsi. Il nostro sistema immunitario si attiva producendo anticorpi, le immunoglobuline IgA, che si sviluppano per prime dopo pochissimi giorni dall’infezione; poi arrivano le IgM, tra i 5 e 7 giorni, in cui abbiamo una fase di latenza con sintomi più o meno marcati – mal di gola, mal di testa, perdita dell’olfatto e del gusto, dolori muscolari generalizzati, nausea, diarrea, tutti i sintomi che potrebbero essere quelli dell’influenza –. Infine arrivano le IgG, dopo 20 giorni circa. Come accade in una battaglia, prima parte la fanteria e poi giungono i carri armati e vi rimangono. Utilizziamo perciò due sistemi di rilevazioni diversi: con il tampone nel naso e nella gola preleviamo della mucosa, dove c’è la sede del virus, attraverso una ricerca molecolare viene ricercata la sua sequenza dell’Rna, mentre con il test sierologico si vede se sono rimasti i “famosi” carri armati.»

Le persone immuni al Covid-19, quindi, risultano negative al tampone ma positive al test sierologico. «Purtroppo ancora non possiamo sapere quanto rimarrà l’immunità – ha aggiunto il dotto Pomari –, per esempio per la Sars è di circa due anni. Con questa nostra ricerca abbiamo tutti e tre i parametri: clinico, mediante tampone e sierologico, per cercare di comprendere meglio questo virus ancora sconosciuto. Il nostro studio ha lo scopo di ripartire in sicurezza nella Fase 2 dell’emergenza ed è per questo che il sindaco e tutti gli altri colleghi coinvolti hanno accettato subito la nostra proposta.»

Le prove sierologiche, però, non sono da confondersi con i test rapidi, cioè quegli esami che utilizzano una goccia di sangue e non il prelievo venoso. «I test rapidi, infatti – ha precisato il dottor Pomari –, sono qualitativi e non quantitativi: rilevano la presenza di IgM e IgG, però devono essere validati per capire quanto siano capaci di dirci realmente se si abbia o meno il Coronavirus. L’Associazione italiana microbiologi li ritiene dei test non diagnostici ma utili per studi epidemiologici.»

La domanda che ancora non ha avuto una risposta è per quanto tempo un asintomatico possa rimanere contagiante. «Difficile saperlo con certezza. Diciamo che nel momento in cui una persona viene infettata come minimo rimane contagiosa per 15 giorni.»

Verona è stata la prima a partire con questo tipo di indagine: Quali sono i possibili scenari? « La questione fondamentale è individuare una domanda a cui vogliamo dare una risposta – ha spiegato il professor Guerriero –. La nostra è molto semplice: sappiamo tutto della punta dell’iceberg di questo virus ma nulla di quello che c’è sotto. La nostra ricerca vuole misurare con un metro virtuale la parte dell’iceberg che sta sotto acqua e capire qual è la quantità di soggetti asintomatici positivi e di soggetti guariti, ma che non sappiamo se potranno ripositivizzarsi.»

Dal punto di vista delle cure, oltre ad alcuni farmaci, viene seguita la strada del plasma con anticorpi da pazienti guariti. «C’è uno studio dell’ospedale Carlo Poma di Mantova condotto insieme al San Matteo di Pavia, che consiste nel prelevare del sangue da pazienti con una buona quantità di immunoglobuline e trasfuso nei pazienti malati – ha aggiunto il professor Pomari –. Sta dando ottimi risultati. Purtroppo il problema è reperire persone che abbiano adeguate caratteristiche plasmatiche». 

Il 4 maggio si avvicina, come ripartire in sicurezza? «Al di là della terapia, che già abbiamo per la fase acuta della malattia ed è anzi chiara l’importanza di intervenire tempestivamente nella fase iniziale, quando il virus si sta replicando –, la perplessità di lasciarci uscire e aprire le attività, da parte del governo e del comitato scientifico, sta nella catena del contagio. Sono stati i nostri atteggiamenti che hanno messo il virus in ginocchio – ha concluso Pomari –. Questa prima battaglia l’abbiamo vinta stando chiusi in casa per due mesi, per cui è fondamentale non abbassare la guardia, utilizzando tutte le precauzioni. Il virus è stato indebolito allontanandoci, ma se gli ridiamo benzina riparte, e sarebbe un contesto ancora più drammatico, pur avendo le terapie».

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