Che cos’abbia pensato Max, il nibbio bruno, quando il suo potente e profondo battito d’ali lo ha fatto librare libero nel cielo azzurro sopra Merano e avvitare così velocemente verso l’alto da fargli perdere la direzione verso casa, trascinato dalla potenza della corrente termica che ha accelerato il suo volo verso nuovi orizzonti, non lo possiamo sapere. Ciò che conosciamo oggi è la storia del suo maestoso e lungo volo fino al Lago di Garda, costellato di volteggi e planate e di quell’aria tagliente che profuma di libertà. 

Tutto inizia Venerdì Santo nel piccolo paesino di Schenna, subito sopra Merano, presso l’Hotel di proprietà della Famiglia Pircher, appassionata di falconeria, dove custodisce in grandi voliere alcuni tra i più noti padroni dei cieli: gufi, civette, falchi e nibbi che addestra con dedizione e lascia volare quasi ogni giorno. Presto i falchi volteggiano sopra gli spazi verdi al limite delle montagne e alcuni di loro volano lontano, per poi ritornare verso i confini a loro familiari, ma il nibbio bruno sale ancora più in alto e veloce come il vento, scompare dalla vista dell’hotel diventando un piccolo puntino nel terso cielo altoatesino. 

Il nibbio bruno è un rapace di medie dimensioni con un’apertura alare di 130-155 cm, per una lunghezza di poco superiore al mezzo metro e un peso che può raggiungere più di 1 kg. «Non eravamo preoccupati, perché lo faceva spesso scrive Mathias Pircher sul profilo Facebook dell’Hotel. Max vola già da dieci anni, nella bella stagione quasi giornalmente.» Ma quel giorno era diverso: al tramonto il nibbio non era ancora ritornato e di lui non c’era alcuna traccia.

Max, il nibbio bruno (Foto: Famiglia Pircher)

Improvvisamente, la domenica di Pasqua la famiglia Pircher riceve la sorprendente chiamata di Michela Padovani, la volontaria esperta di falconeria dell’Associazione Progetto Natura Verona Lago di Lazise, che ha supportato le ricerche del nibbio ed è stata fondamentale per l’identificazione dell’esemplare. Max era stato avvistato mentre volava sopra il lago di Garda tra Lazise e Bardolino, atterrando di tanto in tanto. Il suo volo non era passato inosservato e le segnalazioni avevano iniziato a susseguirsi.

«Grazie alla consulenza di Michela, sabato pomeriggio ho provato ad attirare la sua attenzione in un campo aperto utilizzando un apposito richiamo e delle quagliette, dato che ci era stato comunicato che era un rapace addestrato, poiché alle zampe aveva i tipici laccetti di cuoio usati in falconeria» racconta Sara Vesentini, Presidente dell’Associazione Natura Verona Lago, nata nel 2020 con l’obiettivo di supportare il centro di recupero fauna selvatica di Lazise che effettua unicamente ricoveri di animali selvatici. I volontari di Progetto Natura Verona Lago non sono però autorizzati ad effettuare direttamente azioni di recupero diretto dei soggetti feriti o vaganti, ma raccolgono le segnalazioni e ricoverano la fauna selvatica in difficoltà solo dopo il recupero da parte dell’emergenza faunistica della Provincia di Verona.

«Era la prima volta che avevo a che fare con un animale addestrato, in quanto solitamente soccorriamo solo esemplari selvatici, ad esempio gheppi, sparvieri, e poiane avvelenate dai pesticidi o ferite volontariamente dalle fucilate durante la stagione di caccia» denuncia Vesentini.

Michela Padovani e Max

Nel frattempo, la sera di sabato arriva una telefonata da Caprino Veronese. «In seguito alla chiamata, un’operatrice autorizzata dalla Provincia ha potuto così effettuare il recupero e il rapace è stato messo in sicurezza all’interno di una voliera della nostra struttura per tutti gli accertamenti del caso» spiega Vesentini.

L’antica arte della falconeria di addestrare i rapaci, che risale ad almeno 4.000 anni fa, dai popoli nomadi dell’Asia centrale per poi estendersi a Cina, India, Medio Oriente ed Europa, utilizza la pratica dell’ammansimento di questi predatori aerei che imparano a fidarsi dell’uomo e, tra le altre cose, a rispondere al richiamo per rientrare dal volo e appoggiarsi sul guanto del falconiere. Sinonimo di potenza, audacia e perfezione del movimento, i rapaci solcano così l’unico spazio interdetto all’uomo: la capacità di controllarli e insegnar loro a tornare al pugno crea un legame basato sulla fiducia e sul rispetto, non privo di rischi, di cui il falconiere è l’assoluto custode.

Immediatamente dopo il ricovero di Max, Sara Vesentini e Michela Padovani si adoperano dunque per aprire una segnalazione sul portale italiano dei falconeri, inserendo i dettagli contenuti sull’anello di riconoscimento riportante l’etichettatura conforme alle leggi in materia. «I nibbi sono raramente usati dai falconeri e quindi è stato abbastanza facile risalire al legittimo proprietario» sottolinea Vesentini. Verificata la regolarità dei documenti, Sara e Michela erano pronte a riconsegnare il rapace alla famiglia Pircher, ma con i divieti di spostamento governativi in essere a causa dell’emergenza Covid-19 sembrava quasi una missione impossibile.

Mathias Pircher e Max (Foto: Famiglia Pircher)

Incoraggiata dalla gioia di saperlo sano e salvo la famiglia Pircher aveva nel frattempo attivato una staffetta di solidarietà per trovare qualcuno che potesse ottenere l’autorizzazione a partire: non senza qualche difficoltà, la situazione è stata poi risolta grazie alla disponibilità del Signor Willi del Centro di recupero volatili e falconeria Gufyland di Tirolo (BZ) che nel pomeriggio di Pasqua ha raggiunto Lazise e riportato Max a Schenna, dai suoi proprietari. “Dopo questa “gita” di tre giorni fuori porta anche Max rimarrà qualche giorno in quarantena” commenta felice Mathias Pircher.

Fortunatamente, l’avventura del nibbio bruno Max si è conclusa nel migliore dei modi, grazie alla disponibilità di molte persone e soprattutto all’impegno di Progetto Natura Verona Lago di Lazise. «Oltre al recupero vero e proprio dei volatili – spiega Vesentini, che ha già all’attivo più di 3 anni di esperienza se ne occupa – i nostri volontari sono impegnati nella riabilitazione della fauna selvatica ferita, ma anche di uccelli migratori che, per motivi vari, vengono ritrovati nei nostri ambienti, come rondoni, piccioni e merli: si tratta di giovani esemplari in difficoltà, quando hanno appena lasciato i genitori e devono cavarsela da soli o con traumi da impatto. Spesso gli uccelli finiscono contro auto, vetrate o altri ostacoli durante il volo.» Una speranza in più per quei sfortunati animali che spesso fanno le spese di un incontro troppo ravvicinato con l’uomo e le sue infrastrutture.

Attenzione però a precipitarsi a soccorrere un animale senza sapere come agire, perché c’è il rischio che, per cercare di fare del bene, si operi invece nel senso opposto. Se troviamo un animale selvatico in difficoltà, «accertiamoci sull’opportunità di intervenire, tenendo conto che potremmo semplicemente trovarci in presenza di un giovane nidiaceo alle prime esperienze di volo o di un piccolo sfuggito momentaneamente alle cure parentali, situazioni naturali che non richiedono l’intervento dell’uomo» sottolinea Vesentini. In questo caso, se vogliamo aiutarli, non tocchiamoli o, nel dubbio, rivolgiamoci agli esperti. Chi trovasse un animale selvatico in difficoltà può contattare Progetto Natura Verona Lago su Messenger tramite un messaggio con le specifiche del ritrovamento ed una foto dell’animale in questione oppure avvisare telefonicamente la Clinica Veterinaria Verona Lago al numero 045 6470839. Se si tratta di un animale di grossa taglia o pericoloso i volontari non possono intervenire ed è quindi necessario chiamare la polizia provinciale ai seguenti numeri (Numero verde polizia provinciale 800344000; Centrale operativa polizia provinciale 045 9288400/ 045 9288406; Numero di pronto intervento della forestale carabinieri 1515).

Le cure non sono le uniche attività dell’associazione (che è possibile sostenere con una donazione oppure offrendosi come volontari) che ha avviato vari progetti, tra cui quello di promuovere la preservazione delle risorse ambientali e faunistiche del territorio veronese e l’educazione ambientale per i più piccoli.

«Ogni giorno lavoriamo con impegno per garantire la massima difesa degli animali – spiega Sara Vesentini –. Il nostro obbiettivo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica e, appena le norme governative lo consentiranno, ci attiveremo per coinvolgere i bambini nella liberazione degli animali nel proprio habitat di appartenenza, sia per regalargli il ricordo di una giornata memorabile, ma soprattutto per educarli al rispetto dell’ambiente». 

Perché in fondo, gli incontri con gli animali sono in parte anche incontri con noi stessi e con ciò che vorremmo essere. E perché nulla, nonostante tutto, sembra poter esaurire la potenza della natura selvaggia, che resiste irriducibile a ogni appropriazione umana. Ecco allora che, immaginando il nibbio Max librarsi nel cielo dell’esperienza e della curiosità, possiamo osare e, volando con il pensiero, sentirci un po’ più liberi anche noi.