Proseguiamo il nostro “giro del mondo” alla scoperta di come viene affrontato il Coronavirus negli altri Paesi attraverso le voci dei nostri concittadini veronesi, che dai loro luoghi di adozione hanno senz’altro un punto di vista privilegiato, per spiegarci cosa avviene dalle loro parti. Hong Kong, ad esempio, prima della pandemia era stata a lungo al centro delle cronache per i moti rivoluzionari che, nell’autunno del 2019, avevano messo in grave crisi l’immagine del regime comunista cinese. Ne parliamo con l’architetto veronese Alberto Cipriani, che vive nell’’ex colonia britannica dal 2007.

Alberto, rispetto al Coronavirus cosa sta succedendo a Hong Kong?

«Ad Hong Kong, in linea generale, si respira in questo periodo un’aria di lento ma costante rientro alla normalità. Non siamo mai dovuti arrivare fino al lockdown totale della città, perché grazie alla lezione imparata in seguito all’epidemia di SARS del 2003 la città ha messo in atto sin da subito efficaci misure di sicurezza e controllo. Contrastando immediatamente la diffusione del virus Hong Kong ha contenuto i casi iniziali di infezione a circa 150, solo quattro dei quali letali.»

Che intendi, dunque, per “efficaci misure di sicurezza e controllo”?

«Molti uffici hanno optato sin da subito per l’home working. Un concetto, peraltro, che ad Hong Kong non è certo cosa nuova e adattarsi a queste esigenze non è stato cosi complesso come per altri paesi. Tuttora si lavora a turni alterni, da casa e comunque in modo abbastanza protetto anche in ufficio.»

Ci puoi spiegare cosa sta succedendo sul fronte sanitario?

«Nelle ultime settimane Hong Kong è stata interessata da una seconda ondata infettiva. Questo fenomeno, ossia il virus importato nuovamente da persone che rientravano a Hong Kong fuggendo da Paesi in crisi, non era accaduto in precedenza e forse i tempi di reazione sono stati un po’ più lenti rispetto a quanto fatto durante la prima ondata di contagi. A oggi tutti gli arrivi a Hong Kong devono passare attraverso controlli e quarantena, alcune persone sono poste sotto controllo con un bracciale elettronico che ne rileva i movimenti e sono obbligate a soggiornare in centri governativi appositi per trascorrere la quarantena. Al momento ci si sta preparando a una terza ondata infettiva. Si teme che dopo la riapertura della frontiera con la Cina il virus possa tornare ancora una volta qui a Hong Kong trasportato dalle persone che vi rientrano per lavoro.»

Alberto Cipriani con, alle spalle, Hong Kong

Come reagisce la cittadinanza alle regole imposte dal Governo?

«I cittadini di Hong Kong, sia per loro cultura sia per l’esperienza avuta in precedenza con il fenomeno SARS, hanno grande rispetto per l’autorità e l’osservazione delle regole sanitarie. Fin dal mio arrivo qui, nel 2007, ho notato che i cittadini indossano in via precauzionale le mascherine protettive alle prime avvisaglie di qualsiasi sintomo influenzale. L’idea di proteggere gli altri da potenziali rischi è molto ben radicata. Ho visto naturalmente anche scene di panico e corse al rifornimento di beni di prima necessità nei primi giorni di esplosione del fenomeno Covid-19; in pochissimo tempo, però, la situazione è tornata sotto controllo.»

In che modo vengono date le informazioni alla popolazione?

«Le istituzioni, per quello che ho percepito durante questo periodo, sono molto veloci nel prendere decisioni e comunicarle alla popolazione. Hong Kong è una regione con sistema di amministrazione speciale della Repubblica Popolare Cinese guidata da un organo di governo locale con potere decisionale autonomo. Questo fa si che i tempi di azione siano particolarmente veloci. Le comunicazioni ufficiali sfruttano vari mezzi di comunicazione e arrivano molto rapidamente alla popolazione. Non è raro ricevere messaggi telefonici con istruzioni molto chiare inviati da enti governativi e polizia.»

Tu come stai vivendo questo periodo?

«Personalmente, forse anche grazie allo stile di vita che conduco, questa situazione ha cambiato di poco le mie abitudini quotidiane. La cosa che mi limita di più è il divieto di viaggiare, sia per lavoro sia per svago, e quindi il pensiero di non poter rientrare in Italia per rivedere la mia famiglia e gli amici di sempre un po’ mi rattrista. Non sono preoccupato o impaurito per il mio futuro perché, come ho già accennato, la situazione sta pian piano rientrando nella normalità. Quello che più mi preoccupa è l’idea che anche in Italia ci possano essere ulteriori ondate infettive. La nostra Nazione è stata flagellata dal virus molto prima delle altre in Europa e nel mondo e quindi mi verrebbe da pensare che sarà anche una delle prime a uscirne. Spero fortemente che, però, non diventi per questo motivo un territorio di fuga dagli Stati limitrofi, che invece stanno ancora soffrendo della crescita infettiva.»

Un anno fa erano iniziate a Hong Kong alcune proteste – sfociate in veri e propri moti rivoluzionari in autuno – che avevano destato grande attenzione in Occidente. Ora, però, sembra quasi che il Coronavirus abbia “congelato” ogni tipo di dibattito politico in merito. Qual è la situazione attuale?

«Giovedì 8 aprile è stata presa la decisione della Corte di Appello di revocare il veto nell’uso delle maschere antigas da parte della popolazione durante le manifestazioni. Decisione che in un primo momento era stata presa dal governo locale e che nel frattempo era stata rimossa. A parer mio quel movimento di protesta, nato per rivendicare alcune regole democratiche e di libertà, continua a crescere ancora oggi. Forse, spodestato dall’emergenza sanitaria, oggi occupa meno spazi nelle news internazionali ma qui è ovviamente un argomento ancora molto sentito. Delle cinque richieste iniziali portate avanti da questo movimento solo una – quella relativa all’estradizione in Cina – è stata affrontata e accolta dalla politica locale. Le altre, come ad esempio l’istituzione di una Commissione di inchiesta sulle violenze perpetrate dalla Polizia nei confronti dei manifestanti – rimangono tuttora inascoltate.»