Un luogo comune, che riemerge periodicamente nella stampa italiana, vuole che in momenti di crisi gli italiani diano il meglio di sé, e riescano sempre a trovare una brillante soluzione, un colpo di genio, per trarsi d’impaccio. È in fondo una versione del mito nazionale, buono in ogni stagione, dell’italiano geniale o, perlomeno, creativo e furbo. Nel 1914-15, per esempio, se ne servì la propaganda interventistica dei futuristi per trasformare l’auspicata guerra in uno scontro di culture, come la si vede rappresentata graficamente nella “Sintesi futurista della guerra”.

Al “genio creatore” italiano si contrapponevano allora, Austria e Germania, quest’ultima caratterizzata da “goffaggine, filosofumo (sic), pesantezza, brutalità, pedantismo professionale, archeologia” e via dicendo.

Nel bel mezzo della crisi da Coronavirus, la discussione sugli eurobond, ribattezzati ad hoc “Coronabond”, ha suscitato non solo critiche alla politica economica del governo tedesco, ma ha anche risvegliato risentimenti e riflessi antitedeschi, alquanto virulenti, in una parte dell’opinione pubblica italiana, fatto questo che, oltre a risultare spiacevole anche ai molti italiani che vivono in Germania, non solo non porta da nessuna parte, ma rischia di divenire controproducente.

Oltretutto, se certi stereotipi sembrano non avere data di scadenza, la situazione presente è, come si sa, del tutto inedita e radicalmente diversa da quella del 1914. Non siamo in guerra con nessuno (con buona pace del presidente francese Macron), ma tutta l’Europa, anzi tutto il mondo ormai, si trova ad affrontare una pandemia senza esservi preparato. Ciò crea una forte insicurezza, a livello individuale e globale, e blocca il funzionamento dell’economia globalizzata.

La crisi in corso è stata affrontata da ogni Stato, in prima battuta con i propri mezzi, dato che ogni Paese ha un suo sistema sanitario e che solo autorità nazionali o regionali sono in grado di decretare ed eseguire le necessarie misure sanitarie e di pubblica sicurezza. L’Unione Europea non è oggettivamente in grado di aiutare, nel senso che non ha né le istituzioni preposte a farlo né la legittimazione. Va però detto che ci sono aiuti concreti a livello bilaterale: la Germania, per esempio, sta ospitando nei suoi reparti di terapia intensiva circa 120 pazienti, provenienti da Spagna, Francia e soprattutto Italia.

Al di là dell’immediata emergenza sanitaria, i problemi più seri e di più vasta portata sono finanziari ed economici, ed è qui che si rimprovera alla UE, e in particolare alla Germania e Olanda, scarsa solidarietà. Sia l’Unione europea sia la Germania hanno offerto aiuti adeguati e aperto una discussione, che ci occuperà nei prossimi mesi, sulle misure da adottare. D’altra parte è difficile sfuggire all’impressione che diversi settori della politica italiana considerino questa crisi come l’occasione buona per imporre finalmente ai recalcitranti partner europei gli eurobond, vero e proprio feticcio dell’opinione pubblica nel nostro Paese. Come chiarisce in un ottimo commento di Lucrezia Reichlin, apparso ieri sul Corriere, sulla contrapposizione eurobond-Mes, il migliore consiglio per la politica italiana sarebbe di agire con più flessibilità e moderazione, a iniziare dal vertice dell’eurogruppo di oggi.

È una questione del tutto aperta e altrettanto complessa se titoli di debito europei siano davvero lo strumento migliore per far fronte ai problemi finanziari ed economici causati dalla pandemia: di certo non sono l’unico. D’altra parte è comprensibile la diffidenza dei governi dei Paesi nordici verso le richieste in tal senso da parte della politica italiana: da 40 anni lo Stato italiano si va sempre più indebitando ed ha accumulato un debito pubblico tra i più alti del mondo. Ma non solo: da tempo è evidente che non c’è la volontà politica di fermarne la crescita, tanto meno di invertire la tendenza. Per questo ai partner europei la classe politica italiana risulta poco credibile e quindi letteralmente non degna di credito.

A chi come l’attore Tullio Solenghi o come l’economista Paolo Savona, così pure a chi ama fare del nazionalismo a buon mercato, va prima di tutto ricordato che la Germania è il mercato più importante per l’export italiano e che prendere a pesci in faccia qualcuno di cui si ha oggettivamente bisogno non si è mai rivelato utile. Ma il problema vero non è dato dalle esternazioni via Twitter di un comico e neanche da quelle di un professore di economia notoriamente e virulentemente antitedesco e antieuropeo, bensì dal fatto che ai più alti livelli politici di governo, tra Italia e Germania c’è poco dialogo e quindi scarsa comprensione.

La lettera di Carlo Calenda pubblicata il 31 marzo sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung

Checché se ne pensi, l’acquisto di una pagina del quotidiano “Frankfurter Allgemeine Zeitung” su iniziativa di Carlo Calenda insieme ad amministratori e politici bipartisan, come pure il messaggio che il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha lanciato, il giorno dopo, sulla ARD (il primo canale della televisione pubblica tedesca) sono un sintomo chiaro, e anche preoccupante, delle difficoltà di comunicazione esistenti tra Roma e Berlino.

Alla radice di questo problema c’è senz’altro una forte diversità di cultura e di stile politico, datata già dalla fine degli anni Novanta. Ma vi hanno senz’altro contribuito le ultime vicende politiche italiane, cioè la mancanza di una chiara politica estera ed europea, i frequenti cambi di maggioranza e la presenza nei due governi Conte di persone di nessun peso ed esperienza internazionali. Durante il governo Conte I si aveva l’impressione che il ministro degli Esteri fosse Matteo Salvini, e non Enzo Moavero, di cui già ora a malapena ci si ricorda il nome. L’attuale titolare della Farnesina si occupa più di accogliere gli aiuti offerti da Mosca che di curare le relazioni con gli alleati occidentali e tale interesse ad avere ottimi rapporti con Russia e Cina sembra condiviso da tutto il governo. Una scelta che come minimo rischia di portare l’Italia a rivestire il ruolo di Arlecchino servitore di due padroni, del resto una figura centrale nell’immaginario identitario nazionale.

Se mancano attualmente politici italiani che abbiano prestigio, o per lo meno una certa notorietà in Europa, anche i canali di comunicazione non funzionano bene. Un’eccezione potrebbe rappresentarla Paolo Gentiloni: l’ex ministro degli Esteri ed ex Presidente del Consiglio, in qualità di commissario europeo all’economia, ha la posizione, l’esperienza, i contatti e anche uno staff che lo mettono in grado di mediare. E proprio di persone che facciano questo oggi c’è forte bisogno.