Non esistono prove certe che Dante, durante l’esilio a Verona, abbia scritto proprio il terzo canto del suo Inferno, ma un dubbio legittimamente si fa strada, osservando la vita politica, economica e sociale della nostra meravigliosa città.

Nel terzo canto, un passetto prima dell’Inferno vero e proprio, Dante piazza gli ignavi, coloro che, troppo pigri per formarsi un’opinione, passano da una convinzione al suo opposto, soltanto in base a quale sia la moda del momento, a quale sia il precetto indicato dal Signorotto al potere in quel momento. La storia non è stata certo benigna, in questo senso, con tutte le invasioni e occupazioni che si sono susseguite nei secoli, in qualche momento arrivando a spartirsi le rive del fiume tra nazioni diverse. Il veronese da sempre è costretto a fare i conti con il “nuovo arrivato”, a trovare compromessi e andare avanti. Che fossero romani o francesi, austroungarici o venexiani, ostrogoti o italiani, poco importa: i veronesi si sono sempre adattati, accogliendo e integrando. Sarebbe ingiusto rimuovere i molti casi in cui l’orgoglio cittadino si è levato contro l’oppressore, le occasioni in cui ci siamo distinti per valore e coraggio. Ma lo spirito commerciale e la vena mercantile hanno sempre avuto il sopravvento e i bollenti spiriti si sono spesso rinfrescati nelle nuove opportunità di lavoro e ricchezza.

Settant’anni di calma, senza una guerra o un nuovo padrone, hanno permesso ai veronesi, figli dell’incredibile miscela tra tantissimi DNA diversi, di trarre i frutti della pazienza di secoli. Complici la posizione geografica vantaggiosa, un tessuto produttivo diversificato e genialità imprenditoriali di rilievo, la città è cresciuta, si è arricchita. L’altro lato della medaglia mostra, però, un popolo più indolente, pigro nell’imparare e lesto nel denigrare. Il popolo di così tanti padroni, ora che è libero, non sa più contro cosa combattere e che cosa difendere, quali sogni coltivare. Ci siamo imborghesiti, ingrassati e ingessati. Sicuramente l’indolenza è una caratteristica comune a molte altre zone del Belpaese, ma con le caratteristiche tipiche nostrane non si trova niente di simile. Come con l’Amarone: ci sono tanti vini buoni, alcuni molto buoni. Ma proprio come il nostro, no.

Un banale esempio basterà: si tagliano mille alberi per far spazio al filobus.

I Verdi (sì, a quanto pare esistono ancora) si agitano e scalpitano, portando la questione alla pari con i temi del cambiamento climatico. Ci sono proteste, vola qualche parola catastrofica ma nessuno si incatena agli alberi o salta un pasto per proteggerli. L’opposizione si risveglia dal torpore e comincia a chiedere i progetti, fare calcoli (sbagliati) diversi da quelli del Comune (pure sbagliati), si pretendono rassicurazioni sul fatto che le piante vengano poi sostituite, sennò cosa facciamo il Central Park se poi mancano gli alberi a ombreggiare i viali. Il Comune emana scarni comunicati, abbozza tempi e utilità dell’idea, sottolinea come una soluzione di questo tipo a Verona non ci sia (ma senza chiedersi davvero il perché), arrivando a mormorare qualcosa sul non voler perdere tutti quei bei finanziamenti a suo tempo ottenuti. Ammettiamolo pure: le istituzioni cittadine non brillano certo per visione e pre-visione del futuro, nemmeno per comunicazione politica, o anche solo strategia e programmazione.

Ma il cittadino veronese, in tutto questo clamore mediatico, con tutto questo ribollire di indignazione di stampo patriottico, ecologista e anche amministrativo, come reagisce, cosa dice, che cosa FA? Niente. Il cittadino veronese non fa niente. Si abitua a questo, come ad altre cose in tutto il suo passato, si adatta alla situazione e fa buon viso a cattivo gioco. Legge il giornale con un sorrisino quasi di scherno per quegli sciocchi che ancora si affannano a voler scuotere le coscienze, a dare notizie vere e a verificarle prima. Intimamente, sa bene che passata questa bufera, ce ne sarà una diversa, ancora più noiosa da seguire. E probabilmente, su questo, ha pure ragione.

C’è solo una cosa che fa veramente arrabbiare i veronesi, che occupa molto del loro tempo e provoca tante delle loro bestemmie. Non sono i poveri alberi estirpati e il verde che scompare, non è il modo con cui vengono amministrati i soldi pubblici (che poi, volendo, sono privati), non sono le scaramucce tra destra e sinistra in Consiglio. È che sto fatto del cantiere permanente in cui è sepolta mezza città li costringe a uscire prima di casa per non far tardi al lavoro, gli fa perdere un sacco di tempo in auto (che i mezzi non se li filano proprio) e non importa se hanno il rosario appeso allo specchietto, ché quattro “parolacce” tanto scappano lo stesso.

Eh già, in definitiva il vero problema di Verona, per i veronesi, è il traffico.