Il Papa di Sorrentino, interpretato da Jude Law, teorizza e pratica a lungo il potere dell’assenza (The Young Pope).

Se non appari, paradossalmente sei ancora più “visibile”, rimani irraggiungibile, per questo affascinante, e il tuo messaggio diviene più potente e carismatico. Se ti abbassi alla dimensione “pop”, invece, vieni “umanizzato” e quindi risucchiato banalmente nel quotidiano.

Del resto, restando al cinema, siamo all’eterna e ormai mitologica disputa interiore nannimorettiana: “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte, o se non vengo per niente?” (Ecce Bombo)

Volessimo concretizzare il concetto, potremmo chiamarlo il “metodo Mina”, la cantante, che dal 1978 non appare più sulla scena pubblica, ma continua a produrre dischi e a permeare la sua immagine di mito. Lo stesso fece Lucio Battisti.

Su quella scia rimane, più modestamente (rispetto ai nomi citati sopra), Damiano Tommasi, candidato sindaco del centrosinistra, che a parte un paio di interviste un mesetto fa se ne sta in silenzio. Niente dibattiti pubblici, niente conferenze stampa, niente mercati e incontri con i cittadini.

Questa “assenza” finora un effetto l’ha sortito: mediaticamente di Tommasi si parla tantissimo. Ma per quanto ancora? E cosa succederà appena l’ex calciatore della Roma si “umanizzerà”, cioè si mostrerà ai cittadini? Svanirà l’effetto e diventerà “come tutti”?

Ma soprattutto, Tommasi non è una star nazional-popolare della canzone (Mina) e nemmeno un “Papa” (e qui torniamo a Law e Sorrentino), figure che per epica e luce naturale possono permettersi “l’assenza”. Lui è “solamente” un candidato sindaco. E in politica “sporcarsi le mani” (nel senso nobile di agire), cioè “scendere” tra i comuni mortali, è la prima regola.

Siamo sicuri che la strategia di Tommasi sia la più corretta?

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