Un disastro mai visto. Questa l’espressione più letta e sentita ieri, domenica 23 agosto, nel tardo pomeriggio, quando Verona si è trasformata in una città colpita da un nubifragio senza precedenti in pieno agosto, fatto di vento e ghiaccio che rimarranno nella storia. Una scena apocalittica dove si contano già circa 500 alberi abbattuti dalle raffiche.

Un temporale “multicella”, come specifica la pagina di Meteo Caprino Veronese, ossia un sistema temporalesco formato da più celle convettive, che possono organizzarsi in modi differenti (cluster, linee) e che si trovano all’interno del temporale in diversi stadi “evolutivi” delle celle. Quello di ieri probabilmente si è trattato di un “multicella” di tipo squal line, in cui le multicelle erano organizzate linearmente lungo la linea di avanzamento. La prominente shelfcloud che si è vista in molte foto è una caratteristica di questo tipo di temporali.

Albero caduto vicino al Lungadige San Giorgio

Abbiamo raccolto la testimonianza di Marina Sorina, guida turistica di origine ucraina che ha scelto la città scaligera come sua casa da ormai vent’anni, che ha fotografato l’arrivo del temporale sul centro storico: «Ho passato la domenica con due adulti e tre bambini veneziani venuti per conoscere la nostra città. Alle 17 eravamo sul piazzale panoramico di Castel San Pietro e vedevamo la tempesta arrivare da lontano. Le prime gocce hanno cominciato a battere sul tetto della funicolare mentre scendevamo. Ci siamo rifugiati nella stazione mentre diluviava. L’acqua batteva sui vetri della stazione, il ghiaccio si accumulava, le foglie strappate riempivano il piazzale. A volte le porte chiuse si aprivano, come se qualcuno le avesse spinte con la mano, ed entrava la grandine. Sapevo che la tempesta si sarebbe placata presto, ma non potevamo temporeggiare: gli amici avevano il treno a breve. Telefonare al radiotaxi era inutile: nessuna macchina disponibile. Quindi, appena la pioggia si è diradata, verso le 17.30 siamo usciti nella speranza che lì sarebbe stato più facile trovare un taxi. Invece no. Subito fuori abbiamo visto un pino alto, piegato sopra una grossa macchina bianca che ostruiva il passaggio.
Sul Lungadige San Giorgio non si riusciva a camminare perché era tutto ricoperto di acqua e ghiaccio. La panchina e i dintorni della fermata erano allagati. Allora per aspettare il bus abbiamo cambiato il marciapiede. C’era una piccola striscia di marmo su cui stare in piedi, in mezzo ai flutti.»

La Chiesa di Santo Stefano

«Le macchine passavano lente, vedevo le facce sconvolte di chi ci osservava senza intervenire: d’altronde, cosa avrebbero potuto fare? – Continua Marina Sorina –. Il figlio della mia amica è scivolato: non era facile stare in equilibrio in pochi centimetri. È caduto in acqua e si è bagnato. Per fortuna gli uomini che stavano vicino (uno sembrava un turista tedesco) l’hanno subito ripescato. Per fortuna, perché la profondità dell’acqua superava la sua altezza. Sua madre era pronta con un cambio di vestiti e l’ha portato in chiesa per cambiarsi.»

«Sotto di noi, in Via Sant’Alessio un ragazzo robusto avanzava a fatica fra le lastre di ghiaccio. L’acqua gli arrivava quasi al collo. Gli uomini gli hanno teso la mano, l’hanno issato in alto. C’era anche una donna. Gli proponevamo ambulanza, asciugamani, vestiti. Tremava tutto, non riusciva a parlare, l’unica cosa che si capiva è che non voleva l’ambulanza. L’ho abbracciato, cercando di scaldarlo e di ripulirlo. Aveva ghiaccio nelle tasche e negli shorts, foglie morte sui vestiti bagnati fradici.
L’unica soluzione era accompagnare anche lui in chiesa che teneva il portone aperto.»

Gli aiuti prestati a Daniele Iattarelli

Il ragazzo era Daniele Iattarelli (foto di copertina), uomo simbolo del nubifragio le cui foto e video hanno fatto il giro della Rete e dei telegiornali.

Il lavoro dei Vigili del Fuoco

«Noi invece siamo stati tratti in salvo dal bus che è passato con solo una decina di minuti di ritardo, la qual cosa vista la situazione era un ottimo risultato – continua Marina –. Anche se per entrarci bisognava camminare immersi fino alla caviglia in acqua gelida, per noi significava la salvezza. Abbiamo cominciato ad esultare, ma… a metà Piazza Isolo c’era un altro albero caduto! Per fortuna l’altra corsia era libera e l’autista ha aggirato l’ostacolo. I bambini erano felici e sollevati. Sono scesa in Via Interrato Acqua Morta e in Lungadige Sammicheli ho visto un terzo albero caduto e una squadra di soccorritori che già lo stavano tagliando a pezzi. Spero tutti tornino sani e salvi, che le piante macellate dei nostri balconi e dei nostri campi si rialzeranno, che i monumenti e i vigneti saranno illesi, e che nei cuori dei miei ospiti veneziani questa ora di emergenza da cui siamo sarà un ricordo duraturo.»

Tutte le foto dell’articolo sono di Marina Sorina