Un meme con il dottor. Nowzaradan

Girellando tra i social a caccia di umanità avariata dalla virtualità, si rischia di incappare spesso nel body shaming, ovvero la tendenza a giudicare le persone esclusivamente per il loro aspetto fisico, e in una nuova fobia ad esso correlata: la grassofobia. Certo, niente di strano nell’era dei fisici perfetti di Instagram e nel dilagare dei reality a tema medicale che vedono i chirurghi estetici o bariatrici (coloro, cioè, che si occupano del trattamento chirurgico dei pazienti affetti da obesità, ndr) come nuove star. Ai più possono sembrare chiacchiere da bar, finché non si incappa in post come questo:

“Io ne conosco che sono buoni e generosi” (“com’è umano lei” direbbe Fantozzi). Secondo uno studio, negli ospedali pubblici italiani il 31% degli infermieri preferirebbe non prendersi cura delle persone obese, il 24% riferisce «repulsione», il 12% preferirebbe non toccarle. All’estero, come in Francia, i medici vengono sensibilizzati a considerare l’obesità una patologia e a curare adeguatamente i pazienti sovrappeso anche se li ritengono meno disciplinati e affidabili di quelli che non ingrassano. Non capendo, dunque, che chi vive la condizione di obesità spesso non ne è né orgoglioso né contento.

Sarà davvero così? Prendiamo la prima palestra sociale: la scuola. Qui l’umanità giovanile vive priva di empatia e di rimorso: come sappiamo, i bambini sono gli animali più crudeli. In un recente sondaggio, tre studenti su cinque hanno dichiarato di essere stati vittime di insulti, violenze o minacce. I motivi? “Per l’88% degli studenti a rischiare di più sono le persone omosessuali, seguite da persone di origine rom e persone grasse (entrambi all’85%)”. Di fatto, come diceva già Adinolfi, l’obesità è diventato un fattore di discriminazione più forte del colore della pelle.
In Italia, Anno Domini 2019, un adulto su due è sovrappeso: quindi, se non lo sei tu, lo è chi ti è accanto. E la situazione non è destinata a migliorare:

Le proiezioni sull’obesità per il periodo 1970-2030

Siamo tutti, da sempre, alla ricerca di un equilibrio. In molti, la sovrabbondanza di modelli aumenta la nevrotica ossessione nella forbice tra desideri e realtà. Ne parlavamo tempo fa dalle colonne di questa testata: l’immagine, specie per le donne, è fondamentale per definire se stesse. Vale anche per gli uomini, naturalmente, che conoscono pure loro anoressia e bulimia. Oggi, però, compare anche la vigoressia, ovvero la continua e ossessiva preoccupazione per quanto riguarda la propria massa muscolare. Una volta i muscoli si pensava fossero necessari per far colpo sulle donne. Oggi no: un corpo perfetto è l’obiettivo in sé, in quanto ci si percepisce diversamente da ciò che si è. Stanno, quindi, aumentando le pressioni socio-culturali sul fisico maschile. E nel prevalere del modello androgino, si diffonde anche tra le donne.

Satiro in un’immagine erotica proveniente dall’antichità

L’era dell’immagine sta corrodendo la sostanza. Non da oggi, si dirà; la bellezza ha sempre fatto la differenza: un bel vedar l’è un bel credar, si diceva un tempo. Con la virtualità, però, quest’aspetto si è amplificato, aumentando il confronto tra la propria immagine percepita e l’esterno, sempre più artificialmente naturale. E il contatto umano diventa intanto facoltativo. Il sesso, premio della bellezza, dilaga sui social e in tv ma di praticato se ne fa sempre meno, perlomeno in compagnia. Il futuro è una società di individui esteticamente perfetti, crudeli e ipergiudicanti verso sé e gli altri. Una società che non ha bisogno di culle ma di fazzoletti di carta?