Raccontammo l'”Home Venice Festival” con grosse aspettative, aspettammo a commentare la cancellazione di grossa parte degli headliner, questo weekend ci siamo stati, possiamo dirlo, non è andata bene, anzi, male male.

Sarebbe stato molto facile fingersi esperti organizzatori di eventi, come hanno fatto in molti, cavalcando l’onda della polemica a tinte complottare per la cancellazione di Aphex Twin, Jon Hopkins, Pusha-T, Modeselektor, Moodymann, Adam Beyer, Mura Masa e The Vaccines per questioni di sicurezza che non hanno permesso di allestire uno dei palchi.
Meglio andarci, meglio viverlo e vederlo con i propri occhi, o forse no.

Meglio non vedere un festival musicale, più volte premiato come il migliore in Italia, capace di portare alla Dogana di Treviso oltre 80mila persone, ridursi ad averne 20mila nell’enorme Parco San Giuliano di Mestre. Una location fantastica dal punto di vista logistico, sfortunata da quello metereologico, tristemente vuota se non popolata a dovere.
Sono convinto che la buona riuscita di un qualsiasi concerto sia legata in grossa parte alle persone che lo riempiono, dal colore che riescono a dare, aspetti che hanno reso tanto grande Home Festival nel passato, quanto piccolo nel presente.
Questo è stato un festival senza colore e senza persone.

È mancato il colore persino nel palco, adornato da un semplice striscione indicante il nome del festival, è mancato nelle zone buie e senza luci, o con luci improvvisate quando è scesa la sera, trasformando il tutto in qualcosa di freddo, asettico in certi momenti.
È mancata una comunicazione chiara, anche per riuscire a trovare i bagni o per trovare i punti acqua, figuriamoci quando la pioggia ha interrotto il concerto, la scaletta è stata cambiata e nei social non era presente alcuna comunicazione causando confusione.
Sono mancate le persone, 20mila sono pochissime per il Parco San Giuliano che, escludendo forse il sabato, è sembrato mimetizzato da palude. 
Forse, per citare Stranger Things, erano finite nel sottosopra, ma di sicuro, nemmeno lì, si stavano divertendo.

È mancata anche una direzione artistica forte che desse identità alle serate, poco contano i nomi che sono saltati, fossimo stati a Masterchef, qualcuno lo avrebbe definito un mappazzone, fossimo stati a XFactor anche il televoto non sarebbe stato magnanimo. Probabilmente, in questo paga male lo spostamento da settembre a luglio, periodo molto più ricco di altri eventi e tour che non danno la possibilità di avere qualche “big” vero capace di spostare le masse e creare una situazione musicale più ordinata.
La magia della musica è che, nonostante tutto, gli artisti partecipanti (alcuni tra il centinaio presenti) sono andati oltre il poco pubblico, il maltempo e il resto. Alcuni non erano nemmeno scommesse come gli impeccabili Editors, altri hanno sorpreso come LP in un’esibizione straordinaria con una voce pazzesca, e Bloc Party con una grande festa di chiusura. Gli italiani, tra cui figura inspiegabilmente Elettra Lamborghini per il secondo anno consecutivo, un po’ in ombra, soprattutto per i giovani “trappisti”, molto meglio il pop indie di Canova, Gazzelle o i Twee.

Ed è proprio da questa “magia della musica” che è necessario ripartire per l’edizione 2020.
Serve un po’ di sincerità – e umiltà – nell’ammettere che, forse, non è andato proprio tutto come ci si aspettava e di fronte a questo fare un passo indietro.

Quello che, per Home Festival, doveva essere un compleanno e/o una prova di maturità, è diventato un anno zero da cui ricostruire, ritrovando il coraggio e la passione dimostrata in questi anni, e tornare ancora a fare concerti che meritano di essere visti e vissuti.
In bocca al lupo Home Festival!