Domani, 23 febbraio 2021, ad un anno esatto dal blocco totale del mondo dello spettacolo a causa della pandemia di Sars-CoV-2, i sindacati e i lavoratori del settore tornano in 21 piazze italiane per manifestare al governo la loro difficile situazione. Ma qual è lo stato dell’arte in uno dei settori più duramente colpiti dall’inizio della crisi che ha travolto il Paese?


A un anno esatto dai provvedimenti di contenimento della pandemia che hanno decretato la chiusura dei luoghi dello spettacolo dal vivo, migliaia di professionisti del settore sono senza lavoro e senza reddito.
I nodi irrisolti restano gli stessi che vengono denunciati ormai da mesi: l’insufficienza dei provvedimenti una tantum presi dal governo Conte, l’assenza di una misura universale che garantisca continuità di reddito, il precario stato di salute delle piccole realtà che generano cultura nei territori e la necessità di una riforma strutturale del settore, in grado di guardare oltre l’emergenza e superare le storture già presenti ben prima dell’esplosione della pandemia.

Per questo lavoratrici e lavoratori chiedono la convocazione di un tavolo interministeriale con la presenza del Ministero del Lavoro, del MEF e del MIBACT, in modo da coinvolgere tutti i soggetti interessati, a partire da chi dovrà prendere una decisione in merito al destino di centinaia di migliaia di lavoratori.


Nel comunicato stampa che annuncia la manifestazione nazionale prevista per domani, si legge che i partecipanti non hanno intenzione di lasciare le piazze fino a quando una delegazione non verrà ricevuta, e verrà calendarizzato da subito il confronto necessario:

“Non siamo disposti ad accettare altri silenzi e tentennamenti e non accetteremo altri equilibrismi politici sulla pelle di chi da un anno si ritrova senza reddito”.

Foto di Marc Cornelis

Due proposte di legge alla Camera per il settore dello spettacolo dal vivo

Sono due le proposte di legge depositate in questi mesi alla Camera e che riguardano il settore dello spettacolo dal vivo.

La prima è il disegno di legge delle parlamentari Gribaudo (PD) e Carbonaro (M5S) a partire da una proposta nata in seno al Sindacato Lavoratori della Comunicazione (SLC) della Cigl.

Nella stesura della proposta normativa, le due parlamentari hanno avuto il supporto esterno di VOLT Italia, sezione nazionale del partito paneuropeo VOLT Europa.

Nei mesi scorsi, infatti, un gruppo di lavoro composto da volontari di VOLT Italia, specificamente dedicati ai temi della cultura e dello spettacolo, ha organizzato un tour d’ascolto che ha preso il nome di “ChiamataAlleArti”. Obiettivo: dare la parola agli esponenti e ai lavoratori del mondo della cultura e dello spettacolo, accogliendo richieste e proposte, al fine di proporre integrazioni al disegno di legge Gribaudo-Carbonaro.

L’altra proposta di legge per una parziale riforma del settore dello spettacolo è quella presentata dal parlamentare del Pd Matteo Orfini, a partire dalla proposta del FAS (Forum Arte Spettacolo).

Entrambe hanno il merito di far luce su una situazione, diffusissima nel settore dello spettacolo, che è quella del finto lavoro autonomo. Vengono, finalmente e giustamente, chieste pari tutele per gli autonomi, equiparati ai subordinati per quanto riguarda malattia, maternità, disoccupazione e eventuali nuove indennità.

Continuità di reddito, un tema che divide

L’altra questione sollevata da entrambe le proposte è quella della continuità di reddito in un settore che, per definizione, lavora per progetti. Ed è qui che gli addetti ai lavori storcono il naso: nella proposta Gribaudo-Carbonaro, il principio che guida tutto è aver avuto una flessione di almeno il 30% del reddito (derivante da lavoro) rispetto all’anno precedente (in cui si può aver guadagnato massimo 65.000 euro).
Ma il criterio della flessione del reddito evidentemente non regge, poiché il vulnus non è tanto questo, ma semmai l’alternanza tra periodi di lavoro e di non lavoro. In questo modo si crea una situazione paradossale: potrebbe non beneficiarne chi ha guadagnato poco l’anno precedente e ugualmente poco l’anno dopo (nell’alternarsi di periodi di lavoro a periodi di non lavoro), al contrario di chi magari ha guadagnato 50.000 euro l’anno precedente e 30.000 nell’anno corrente.
Il principio alla base non pare dunque né solidale né redistributivo, e rischia di andare a supportare chi ne ha meno bisogno.

La proposta di Orfini e del FAS è qui in parte migliorativa, ma non del tutto convincente, nel momento in cui si richiede che il reddito prevalente sia derivante dal lavoro nello spettacolo, ignorando così la necessità del lavoro in campi diversi, proprio per sopravvivere.

Il corteo tenutosi durante i giorni della Biennale di Venezia, fonte pagina Facebook di Professionisti Spettacolo e Cultura – Emergenza Continua

L’urgenza di una riforma strutturale

Ma al di là dei tecnicismi di legge, quel che appare evidente è l’assoluta necessità, per il settore dello spettacolo, di un testo normativo, ovvero norme chiare e chiaramente applicabili. Per questo c’è bisogno di una riforma complessiva del settore, che non può fermarsi unicamente alla creazione di uno strumento che assicuri una continuità salariale, ma che deve invece prevedere anche e soprattutto investimenti sulla cultura, internalizzazioni, cambiamento dei criteri di assegnazione del FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo).

Oltretutto parliamo di un settore che, insieme a pochi altri, può vantare un bilancio in attivo dei contributi versati all’ex-ENPALS (confluito ormai da qualche anno nella gestione INPS). L’attuale presidente Pasquale Tridico, nell’ottobre 2020, parlava di 5,4 miliardi di euro di attivo di cassa derivanti dal settore dello spettacolo, che ogni anno aumenta di circa 300 milioni. Ciò significa che, di fatto, il settore dello spettacolo si auto-sostiene.

Il 6,1% del Pil italiano è made in cultura

Inoltre, secondo i dati del rapporto 2019 “Io sono cultura” di Unioncamere, patrocinata anche dal MIBACT, nel 2018 il sistema produttivo culturale e creativo in Italia ha sfiorato i 96 miliardi di euro, ovvero il 6,1% del PIL nazionale, grazie all’impiego di 1,55 milioni di occupati (6,1% sul totale economia). La filiera cresce sia in termini di valore aggiunto, ancor più dell’anno precedente (+2,9%), sia di occupati (+1,5%), registrando performance migliori dell’economia italiana nel suo complesso. Cultura e creatività hanno un effetto moltiplicatore sul resto dell’economia: l’intera filiera culturale produce 265,4 miliardi di euro, il 16,9% del valore aggiunto nazionale, col turismo come primo beneficiario di questo effetto volano.

Dunque, al di là della retorica sull’importanza fondamentale dello spettacolo dal vivo per nutrire l’anima di un popolo,

la sostanziale mancanza di iniziativa politica da parte del ministro Franceschini nel proteggere e tutelare un’intera categoria di lavoratori in questi 12 drammatici mesi risulta incomprensibile, anche perché dannosa per l’intera economia del Paese.

Non possiamo sapere, infatti, quanti dei lavoratori del comparto saranno in grado di sopravvivere ad un anno senza reddito e ad un futuro senza prospettive. Quel che è certo, invece, è che nel deserto che rischiamo di trovare nel settore della cultura dopo questa pandemia, a rischiare di morire di sete ci saremo tutti.