A ridaje. E facciamoci del male. Matteo Salvini fa il bello e il cattivo (soprattutto) tempo, smargiassa ovunque, alle elezioni fa man bassa, nel giro di un solo anno ha ribaltato le proporzioni in seno al Governo fino a prendersi tre quarti della torta del consenso, e il PD, che pur sempre è il maggior partito di opposizione (?) in questo Paese, che ti fa? Litiga. Sai che novità. Vero che il dibattito interno è il sale della democrazia, ma il quadro che il Nazareno presenta agli italiani è sempre quello di una lite di condominio dove tutti hanno da ridire su tutto e passano il tempo alla conta dei millesimi senza trovare un punto d’intesa. Gli Orazi e i Curiazi di oggi sono i centristi liberali e contrapposti ai progressisti socialdemocratici eredi della vecchia tradizione comunista. Quella delle due anime litigiose è un’annosa questione irrisolta (probabilmente irrisolvibile), se non il peccato originale che il partito si porta appresso sin dai giorni della sua nascita.

Matteo Renzi

Scemata con il disastro elettorale del 4 marzo dello scorso anno, l’esperienza “Blairiana” incarnata da Matteo Renzi, l’ascesa di Nicola Zingaretti alla guida del partito, ha segnato l’avvio della restaurazione di un timido ritorno a sinistra, dello sguardo rivolto alle borgate anziché alle terrazze romane della Grande Bellezza. Tutto plausibile, ma a dispetto della forma, la sostanza non cambia: se alle europee il PD ha tutto sommato tenuto, nelle recenti amministrative ha mostrato il fianco, e le regionali di autunno (la caccia grossa è in Emilia-Romagna) non invitano certo all’ottimismo. Se aggiungiamo che le urne nazionali, sono più che una ventilata ipotesi, al Nazareno farebbero bene a fermarsi un attimino e ragionare per il bene comune, piuttosto che il proprio. Il PD rispecchia alla perfezione l’andazzo della politica nazionale: siccome è sempre colpa di chi c’era prima, ora che ci siamo noi, azzeriamo tutto e ripartiamo daccapo. Scurdamoce ‘o passato: questa è però la miglior soluzione per non crescere e regalare su un vassoio d’argento il Paese agli avversari. Alla Lega ad esempio, che agli italiani si presenta come un monolite.

Luca Lotti

L’ultimo attacco di mal di pancia, lo ha provocato in primis il caso Lotti (un chiacchierone che farebbe bene a tenere a freno la lingua e che pare avere una straordinaria capacità di cacciarsi nei guai), che invece di unire i fronti in una decisa stigmatizzazione di comportamenti sin troppo disinvolti e per questo molto discutibili, ha ancora una volta creato fratture e divisioni. Il secondo calice di fiele, lo ha offerto Zingaretti escludendo i Renziani dalla direzione del partito. Rimasti fuori dalla stanza dei bottoni, quest’ultimi starnazzano in queste ore come le oche del Campidoglio, e lo spettacolo che ne esce non è certo edificante. Salvini intanto gongola e ringrazia. Carlo Calenda, la mente più lucida che emerge dal marasma, lo ha capito per primo e ha lanciato con forza il suo appello a deporre le asce di guerra una volta per tutte.

Carlo Calenda

Ma il problema sta proprio qui, attorno alla figura dell’ex Ministro dello Sviluppo Economico nei governi Renzi e Gentiloni. Sfiorito il “Giglio Magico”, il profilo di più alto spessore dell’anima liberale all’interno del PD è proprio lui, tanto che non fa mistero di voler dar vita a un movimento autonomo (lo ha già fatto del resto con Siamo Tutti Europei) alleato del Nazareno, ma che a Zingaretti e compagni fa salire l’ulcera solo al pensiero. L’accezione marcatamente liberale di Calenda mette ancora una volta a nudo quello che è l’atavico equivoco alla radice del PD: il rapporto tra centristi e sinistra, figlio irrequieto del Compromesso Storico. Un rapporto, va detto, che zoppica sulla fratture dell’inconciliabilità tra due blocchi che parlano lingue diverse. Finché la questione non sarà risolta, non vediamo come il partito possa uscire dal vicolo cieco in cui si è infilato. Nanni Moretti in una sequenza di Aprile divenuta culto incalzava: «Dai D’Alema, di’ qualcosa di sinistra…!». Son passati ventun anni. Più che ieri, è oggi. Un bel guaio. Segno che al PD ancora non hanno capito cosa voler fare da grandi, e che fa del Nazareno la casa più amletica della politica italiana.