«Il funzionario che si presenta nello studio di Mussolini, […], è Giorgio Almirante, a quel tempo Capo di Gabinetto del Ministro Mezzasoma alla Cultura Popolare.» [1] «Rara avis», così viene descritto il giovane Almirante: uno dei pochi fascisti (colti) che, oltretutto, negli ultimi mesi di Salò, non spariva mentre la barca della Repubblica Sociale affondava.

Il Presidente del Consiglio Comunale di Verona Ciro Maschio, qualche giorno fa, ha proposto di riportare in aula consiliare l’intitolazione di una via proprio ad Almirante, così come, nel lontano 2008, aveva fatto il Coordinatore della Commissione Sport Davide Danzi in VI Circoscrizione [2], ottenendo, ieri come oggi, proteste come quella del consigliere di minoranza Michele Bertucco, il quale «non ha esitato a bollare Giorgio Almirante quale «sostenitore della teoria del razzismo biologico contro la teoria del razzismo spirituale sostenuta invece da Julius Evola»».

Il comunicato a firma Almirante.

La questione è spinosa. I contrari sottolineano la partecipazione attiva e convinta alle politiche del Regime Fascista e poi di Salò, sia culturalmente – con la collaborazione con il giornale “La Difesa della Razza” diretto da Telesio Interlandi – sia politicamente, in quanto firmatario, tra le altre cose, di un manifesto contro fiancheggiatori e componenti delle bande armate antifasciste [3] che, per alcuni, potrebbe aver fornito lo strumento legale alla strage dei minatori di Niccioleta. Un passato, in ogni caso, di razzista e collaboratore dei Nazisti occupanti.

Questo è un dato incontrovertibile. C’è, però, anche una carriera politica democratica di dieci legislature, due mandati all’Europarlamento. C’è un lungo, lento, non lineare, ma comunque progressivo traghettamento dell’elettorato di destra, antisemita e antiparlamentare, verso una destra moderna e democratica, anche se – per correttezza – la svolta definitiva venne compiuta a Fiuggi nel 1995 da Gianfranco Fini, suo delfino e successore alla Segreteria.

C’è, da parte di Almirante, una politica schiettamente di destra anticomunista, contraria all’aborto e al divorzio (salvo poi approfittarne); contro il terrorismo degli Anni di Piombo (per i quali chiese la pena di morte), certo non senza incertezze e contraddizioni, come l’ombra su Peteano. Ma soprattutto c’è, evento del 1984, la sua commossa partecipazione al funerale di Enrico Berlinguer, a riprova di un profondo rispetto per l’avversario politico.

Quindi, un personaggio sicuramente controverso e non privo di italica furbizia, ma parte integrante della storia della Repubblica Italiana: una parte con cui sarebbe ormai ora chiudere i conti. Molte città italiane, come Foggia, Agrigento, Aversa, Fiumicino, Molfetta, Lecce, Trani, San Severo, Rieti, Francavilla Fontana, Viterbo hanno già compiuto questo passo intitolandogli una via.

Rimandare per l’ennesima volta sarebbe piuttosto ipocrita, anche se è comprensibile la difficoltà per coloro che non sono in grado di riconoscere il valore di un’esperienza, oramai conclusa, e di un avversario, non un nemico; per chi trova il suo senso solo nell’esser contro qualcuno o qualcosa. Si potrà anche non crederci, ma la Guerra Fredda è finita, il Muro caduto, il Comunismo sconfitto.

Non si intitolano vie o piazze a personaggi discutibili, è forse questo il punto? Bello in teoria, ma falso. Le nostre strade traboccano di intitolazioni ben più discutili: lo spietato Cardona, il fascista D’Annunzio, lo stragista di Bronte Bixio, solo per citarne alcuni. Lombroso affermava che i meridionali fossero criminali nati. In ogni angolo del centro traboccano inni e segni della guerra in una Repubblica che teoricamente la ripudia. Capri ha una via intitolata a Vittorio Emanuele III. Quel Vittorio Emanuele. A Milano fa bella mostra di sé Via Bettino Craxi, politico diventato – ingiustamente – solo simbolo della corruzione politica.

Una via ad Almirante, insomma, dimostrerebbe non che un rimontante Fascismo sta tracimando anche nella toponomastica, ma che questa Repubblica ha raggiunto la maturità per poter guardare con mente serena al proprio passato. Perché, piaccia o no, Almirante di questa Repubblica è stato elemento necessario quanto e più di altri.

[1] Silvio Bertoldi, Salò, p. 264.

[2] Cfr. “L’Arena” 9 agosto 2008. Nell’impossibilità di reperire la fonte originale online, qui un collegamento derivato con il testo della replica.

[3] 17 aprile 1944. Per un approfondimento sulla questione, qui.