Un’anatra ricoperta da uno spesso strato di petrolio greggio, raccolta esanime nell’ esclusiva spiaggia di Carpinteria a Nord di Los Angeles, è diventata il simbolo di una riscossa ambientalista che si è protratta sino a noi, una storia ricca di insegnamenti. Era il 28 gennaio 1969 quando  un pozzo petrolifero della Union Oil, a circa sei miglia dalla costa di Santa Barbara, subì uno scoppio causando una fuoriuscita di petrolio che all’epoca si classificava come la più grande nelle acque degli Stati Uniti. L’effetto sulla vita marina, a ridosso di una fra le zone più ricche e sviluppate del mondo, è stato profondo, un ecosistema di straordinaria ricchezza, biodiversità e attività biologica si trasformò in uno scenario apocalittico in cui l’anatra boccheggiante rappresentava efficacemente l’ultimo attimo di vita di una natura sfregiata dalle attività umane.  

La celebre anatra ricoperta di petrolio

A seguito di questa esperienza,  Santa Barbara si è preparata a gestire i danni collaterali da fuoriuscita di petrolio dai vicini pozzi, che continuavano ad alimentare la nostra economia fossile. Una nave a risposta rapida è stata messa a disposizione nel porto e l’assistenza ai malcapitati animali è stata affidata a un gruppo statale chiamato Oiled Wildlife Care Network (OWCN). «Molti più animali sopravvivono oggi che negli anni ’60 o ’70» afferma orgogliosamente Julie Barnes, la vicepresidente di OWCN «È dovuto non solo a ciò che gli esperti di cura degli animali hanno imparato nel 1969,  ma ancora di più dalle conseguenze dell’affondamento della petroliera  Exxon Valdez in Alaska nel 1989,  dalla fuoriuscita di petrolio nel campo Deepwater Horizon del 2010 nel Golfo del Messico e da una  nuova esplosione di un oleodotto a Santa Barbara nel 2015».

L’esperienza di Santa Barbara ha stimolato una considerazione più importante:  ridurre i danni collaterali non è sufficiente, occorre abbandonare le pratiche che distruggono le risorse naturali e che avvelenano la vita. Già nel 1970, il senatore americano Gaylord Nelson istituì il primo Earth Day per sottolineare l’importanza di proteggere la natura  e il 22 aprile di quell’anno ben 20 milioni di persone (il 10% dell’intera popolazione  di allora) scesero in strada a manifestare in tutti gli Stati Uniti. Occorreva però una riflessione generale sulle sfide ecologiche che l’umanità doveva affrontare con il coinvolgimento globale dei cittadini. Per rispondere a questa esigenza, dal 1990, l’Earth Day è diventata la Giornata Mondiale delle Terra delle Nazioni Unite che il 22 Aprile di ogni anno coinvolge, in momenti di approfondimento e formazione,  più di 1 miliardo di persone di 172 paesi. Le attività connesse ai programmi della Giornata mondiale della Terra hanno accompagnato e stimolato la stesura  del Protocollo di Kyoto nel 1997 e dell’Accordo di Parigi nel 2015: pietre miliari nella lotta ai  cambiamenti climatici,  premesse del New Green Deal europeo e del recentissimo American Jobs Plan del presidente USA Joe Biden.

Non si renderebbe giustizia alla povera anatra agonizzante e non si farebbe un buon servizio a noi stessi, se ci si limitasse a  “proteggere la natura” senza  aver preliminarmente valutato  la sostenibilità complessiva della attività economiche. Con il tema Restore Our Earth , quest’anno si chiede ai cittadini  di concentrarsi sui processi naturali, sulle tecnologie verdi emergenti e sulle innovazioni capaci di ripristinare gli ecosistemi.  In particolare Earth Day Italia e AsviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) si prefiggono di diffondere nel nostro Paese la conoscenza dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) previsti dall’Agenda 2030 dell’Onu.

Tuttavia, in  questo particolare momento storico in cui molti soggetti, con sfacciato Green Washing, si costruiscono un’immagine ingannevolmente ambientalista pur di poter accedere agli ingenti finanziamenti messi a disposizione dalla Comunità Europea, ai cittadini è richiesto un impegno in più: imparare a smascherare iniziative che promuovono soltanto “il recupero delle anatre agonizzanti”  senza intaccare le vere cause della loro “agonia”. Il dibattito attuale sul PNRR (Piano Nazionale Ripresa Resilienza) che dovrà contenere i progetti per la transizione ecologica del Paese, purtroppo offre molti esempi di Green Washing da smascherare e la Giornata Mondiale della Terra può essere una buona occasione per farlo.

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