L’epidemia mondiale di “coronavirus” ha scatenato anche in Italia, nelle ultime settimane, una vera e propria ondata di panico, soprattutto dopo che si è saputo che i due turisti cinesi, risultati poi infetti e per questo ricoverati a Roma, nel loro tour avevano visitato diverse città d’Italia, fra cui anche la nostra Verona. E così, mentre i media non parlano d’altro e i social si scatenato nell’immancabile ridda di commenti, nelle farmacie le mascherine vanno letteralmente a ruba e gli esercizi commerciali gestiti da cittadini cinesi in città e provincia vengono disertati senza alcun apparente motivo. Tutto questo allarmismo è giustificato? Per rispondere a questa e molte altre domande abbiamo consultato uno dei massimi esperti della materia, il dottor Andrea Angheben, Responsabile del reparto di malattie infettive e tropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar.

Il dottor Andrea Angheben – Ospedale Sacro Cuore di Negrar, Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico per le malattie infettive e tropicali

Dottor Angheben, partiamo da una considerazione: un’informazione corretta in questo momento è fondamentale per combattere la pandemia del nuovo coronavirus. Quali sono allora gli elementi di diversità, rispetto a precedenti casi, che caratterizzano questa epidemia?

«Attualmente non è in atto una pandemia propriamente detta, in quanto questa implica la diffusione rapida di un virus in varie aree geografiche del mondo. Siamo di fronte ad un’epidemia con un focolaio epidemico nella città cinese di Wuhan, con alcuni focolai endemici in altre parti della Cina e la presenza di casi sporadici nel resto del mondo, quasi tutti d’importazione. Questa epidemia è simile a quelle precedenti – quella della SARS nel 2002 e della MERS a partire dal 2012 – in quanto ha come protagonista un coronavirus, che ha avuto come fonte un animale passando poi all’uomo, e quindi ha assunto le caratteristiche di un’infezione che si diffonde tramite goccioline emesse con tosse o starnuti da una persona malata. Si differenzia dall’epidemia della SARS e della MERS (partita dall’Arabia Saudita), per il minore tasso di mortalità. Il 2019-nCoV (o nuovo coronavirus) ha un tasso di decessi del 3%, contro il 10% della SARS e il 30% della MERS. Tuttavia, rispetto a queste ultime, pur non avendo un’alta mortalità, la nuova infezione è una malattia che comporta un grosso impegno del sistema sanitario, nel senso che il 25-30% delle persone contagiate si aggravano al punto tale da richiedere il ricovero e, in molti casi, le cure intensive. Pertanto la preoccupazione nasce dal fatto che ogni Paese deve essere pronto, nell’ipotesi in cui si sviluppasse localmente un’epidemia, ad accogliere in ospedale un alto numero di pazienti.»

È vero quello che circola tra molti medici (e non sui social) che i dati sono sbagliati e che i contagiati e i morti sono molti di più?

«È molto probabile che il numero dei contagiati sia più alto di quanto sappiamo perché il sistema di sorveglianza si basa sui casi sintomatici e sui ricoveri. Ma in occasione di questa epidemia, la Cina si è comportata, a mio avviso, in maniera completamente diversa rispetto a quanto accaduto con la SARS. E questo grazie ai sistemi di allerta che sono stati istituiti proprio in occasione dell’epidemia del 2002, in base ai quali ogni infezione polmonare severa di origine ignota (in gergo tecnico SARI) deve essere segnalata all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Cosa che la Cina ha fatto in un tempo ragionevole e dopo l’identificazione del primo gruppo di casi.»

Il “focolaio” del virus in Cina

Qualcuno sostiene che l’OMS abbia all’inizio sottovalutato i primi casi

«Non sono d’accordo. L’iniziale andamento del contagio indicava una bassa probabilità che nascessero focolai d’infezione fuori dalla Cina e mostrava un basso tasso di mortalità. Questo ha indotto l’OMS a non dichiarare immediatamente lo stato di Emergenza di Salute Pubblica di Interesse Internazionale. Cosa che invece ha fatto pochi giorni dopo, senza gravi ritardi, basandosi sull’alto numero di ospedalizzazioni rispetto ai contagiati e il veloce espandersi dell’epidemia.»

Il virus è trasmissibile da persone asintomatiche?

«È stato dimostrato in letteratura che la malattia può essere trasmessa anche pochi giorni prima che i soggetti sviluppino i sintomi. Tuttavia dalla curva epidemica si deduce che le persone asintomatiche hanno un ruolo marginale rispetto alle persone con sintomi nella diffusione del contagio. Un dato confortante, altrimenti dovrebbero essere isolati anche coloro che non manifestano problemi di salute e ciò sarebbe difficile da attuare.»

Chi sono i soggetti più a rischio? È vero che nei bambini sotto i 15 anni il virus risulta meno pericoloso e violento? In caso affermativo perché?

«Per quanto riguarda i bambini e i ragazzi, non possiamo ancora dire con certezza se hanno un rischio meno elevato di contrarre l’infezione. Quello che possiamo dire, in base al basso numero di ricoveri pediatrici, è che i bambini non sviluppano gravi complicanze respiratorie. Forse acquisiscono il virus, ma manifestano la malattia in maniera più lieve. Tra gli adulti i soggetti più a rischio, non tanto di contrarre il virus, ma di sviluppare complicanze anche gravi a livello respiratorio, sono, come succede per l’influenza, le persone sopra i 65 anni di età e i malati affetti da patologie croniche, oncologiche e in stato di immunodeficienza.»

Quali comportamenti bisogna adottare per cercare di evitare il contagio?

«Se non si ha in programma un viaggio in Cina, nessuno. In questo momento il virus non sta circolando in Italia. I due turisti cinesi risultati positivi al  nuovo coronavirus sono ricoverati in isolamento allo “Spallanzani”. Un isolamento precauzionale è stato predisposto per tutti gli altri che componevano la comitiva anche se non presentavano sintomi, in attesa dei risultati dei test. Tutti coloro che invece sono venuti in contatto con i due pazienti sono stati sottoposti a sorveglianza attiva, cioè alla misurazione della temperatura due volte al giorno per 14 giorni. Ci tengo a sottolineare che il contagio si trasmette con un contatto stretto, a meno di un metro di distanza, o dividendo lo stesso ambiente chiuso.»

Non si trovano più mascherine nelle farmacie? Ma è un dispositivo utile in questo momento?

«La mascherina è sempre utile per prevenire il contagio se ad indossarla è il malato. Una regola che vale per tutte le patologie a trasmissione respiratoria. La presenza delle mascherine nelle sale di attesa dei Pronto Soccorso e l’invito ad indossarle se si ha febbre, tosse o raffreddore non è dovuta alla cosiddetta emergenza coronavirus, ma a una normale misura di prevenzione che dovremmo attuare tutti soprattutto nella stagione influenzale.»

Dobbiamo aspettarci altri casi in Italia nei prossimi giorni

«È probabile, ma le misure messe in atto dal Ministero della Salute e dalle Regioni sono in grado di contenere la diffusione del virus.»

Cosa bisogna fare se si ritiene di essere stati infettati?

«In questo momento è una probabilità che deve essere contemplata solo se si presentano febbre superiore a 38°C e sintomi respiratori (come tosse o respiro corto) e si è soggiornato in Cina o si è stati in contatto (per esempio in aereo o in un ospedale) con persone affette da infezione da nuovo coronavirus. In questo caso è necessario rivolgersi al medico o chiamare il 118. Se si hanno dei dubbi su cosa fare è disponibile il numero 1500 predisposto dal Ministero della Salute. Lo stesso percorso è raccomandato anche se febbre, tosse e raffreddore sorgono dopo giorni dal rientro dalla Cina in quanto il virus ha un massimo di due settimane di incubazione.»

È notizia di poche ore fa: allo Spallanzani di Roma alcune ricercatrici hanno isolato il virus. Cosa significa questo? Sembra che fosse già stato isolato in Cina, Australia, Francia… Cosa comporta di diverso questa scoperta italiana?

«Grazie a queste ricercatrici, oggi in Italia abbiamo a disposizione il virus ‘in carne ed ossa’ e non solo la sequenza genetica, individuata all’inizio di gennaio in Cina, poi ad Hong Kong, in Australia e in Francia. Con il genoma del nuovo coronavirus potevamo fare già tanto, ma con un campione del microrganismo possiamo accelerare alcune procedure. Come per esempio testare se alcuni farmaci possono inibirne la crescita del virus o lavorare sui vaccini.»