L’opposizione al nostrano populismo da operetta batte un colpo. Quantomeno curioso che non lo abbia messo a segno il PD, troppo impegnato a scannarsi in vista delle primarie, ma il capogruppo dei Liberaldemocratici al Parlamento Europeo, il belga Guy Verhofstadt, attraverso parole dure e sprezzanti rivolte al nostro premier Giuseppe Conte. «Un burattino nelle mani di quei due» lo ha definito. Ha quindi tratteggiato il ritratto di un’Italia sempre più isolata in seno all’Unione Europea, nonostante ne sia stata colonna portante tra i Paesi fondatori (Trattato di Roma 1957). Al di là delle scontate e sdegnose reazioni ricoperte di panna montata patriottica, Verhofstadt ha purtroppo fotografato perfettamente la situazione. Non avevamo mai visto un Manchurian Candidate stare a Palazzo Chigi. Sottolineare come Di Maio e Salvini siano i due veri leader di governo e il Presidente del consiglio sia ridotto a mero portavoce, è l’uovo di Colombo dell’analisi politica italiana.
Nulla di personale contro Giuseppe Conte, ma che prima o poi venisse inchiodato alla pochezza di un ruolo che ricopre senza alcuna autorevolezza, è un vulnus istituzionale che non poteva certo passare inosservato. Tantomeno fuori dai nostri confini. E così puntualmente è stato. Sentirsi dare del pupazzo nelle mani di due burattinai, non piace a nessuno. Incassato lo sberleffo, Conte ha impennato l’orgoglio rivendicandolo lo spessore del proprio profilo (quale?) e dell’azione di governo (quale?). Ha tuttavia dimenticato due punti salienti ed evidentemente scomodi. Rinfreschiamo la memoria e ricapitoliamo. A Conte deve essere sfuggito che il vicepresidente del consiglio Luigi di Maio nei giorni scorsi è prima andato in compagnia del battitore libero Di Battista a Bruxelles a sbeffeggiare in bulimia di selfie sui social il Parlamento Europeo; non contenti, i Cip e Ciop pentasellati (sempre loro due) non hanno trovato di meglio che salire a Parigi a esprimere il loro appoggio all’ala più radicale dei Gilet Gialli, quella che per settimane ha messo a ferro e fuoco Parigi e tramite le parole del loro leader Christophe Chalencon, aspira a rovesciare con tumulti di piazza il governo di Emmanuel Macron. Di fronte a un atto ostile come questo, la Francia ha risposto duramente e ha richiamato il proprio ambasciatore a Roma. Non accadeva dal 1940 e non portò a nulla di buono. Una frattura che ha creato un grave imbarazzo al presidente Mattarella.
Inciampato sulla buccia della diplomazia, Conte ha difeso Di Maio balbettando che fosse lì nelle vesti di leader politico. Un’arrampicata sugli specchi smontata dal fatto che a Di Maio sfugge un po’ troppo di frequente di essere anche ministro e vicepresidente del consiglio di questo governo. Sul fronte immigrazione Matteo Salvini litiga da mesi con mezza Europa, chiude i porti, dispensa smargiassate in abbondanza e dopo aver ricoperto Juncker dei peggiori epiteti guarda a est, dai salotti di Visegrad fino al Cremlino. Su tutto questo il pensiero di Conte nemmeno lo conosciamo, perché altro non può fare che tacere. Non è finita, perché in merito al dramma del Venezuela la posizione pilatesca italiana ha di fatto impedito un appoggio unitario (una volta tanto) dell’Europa a Guaidò. Conte ha invocato elezioni libere nel paese sudamericano: proposta più che condivisibile, se non fosse che a gestirle sarebbe il governo di Maduro, noto per non essere certo un modello di democrazia.
Le elezioni europee sono in agenda a maggio: l’Italia è retta da due forze antitetiche, ma accomunate dalla visione antieuropeista. Gli attacchi alle istituzioni di Bruxelles nemmeno li contiamo più. Uno al giorno, se non di più. L’Europa è vista come un nemico da abbattere, e ogni occasione è quindi buona per sventolarle in faccia la bandiera del sovranismo. La miglior difesa è l’attacco, e allora dal giorno dell’insediamento il nostro esecutivo lancia fendenti. Conte agisce da notaio di governo, avallando di fatto tulle le posizioni prese dai due registi. Loro decidono, lui annota e spiega. A differenza del ministro dell’Economia Tria, non crediamo abbia dovuto ingoiare tutti i rospi possibili, ma qualcuno bello grosso sicuramente sì. Lo dimostra del resto un recente video galeotto in cui sfogava tutta la sua amarezza in un caffè preso a Bruxelles con Angela Merkel. Guy Verhofstadt gli ha calato la maschera. I fili a Conte li tengono Salvini e Di Maio. Non faccia l’offeso, tanto lo sa meglio lui di chiunque altro. Dovessero tagliarglieli, tornerebbe ad occupare la cattedra di diritto privato all’università di Firenze da cui è spuntato. Gran bel lavoro. Intanto, ci permettiamo di consigliargli l’ascolto di un vecchio disco di Edoardo Bennato. Un po’ gli farebbe bene.