La guerra al virus sta cambiando i paradigmi della politica e della sua comunicazione. Tutti gli annessi e connessi che porta una guerra – la continua emergenza, l’affanno, la paura, l’ansia e la volontà di vincerla – trasformano radicalmente parole, espressioni, obiettivi del governante o dell’amministratore. Da Roma ai Comuni non è più “la politica per la politica”, vacuo circolo ombelicale, eterna e permanente campagna elettorale, ma la politica indirizzata a un traguardo reale e concreto: in questo caso, e senza eccesso di enfasi, vincere una guerra.

E così la narrazione – arte retorica per attirare consenso in tempo di pace – lascia posto alla risolutezza nuda e cruda; le leggi e le ordinanze per guadagnare simpatia e voti vengono sostituite da provvedimenti restrittivi per l’intera collettività. L’occhieggiare, il civettare, il tranquillizzare sono un ricordo: ora, se necessario, chi governa si rivolge ai cittadini soprattutto con severità e parole dure al grido di “restate a casa”. L’obiettivo (salvarsi la pelle e tornare a vivere) vale più di un eventuale voto, la realtà vale più della simpatia.

E così capita, in Campania, che un governatore come De Luca attacchi frontalmente i suoi cittadini che se ne vanno sul lungomare in piena quarantena, arrivando addirittura (per iperbole) a citare i metodi spicci e poco liberali del regime cinese. E così capita che il sindaco di Bari Antonio Decaro vada letteralmente a caccia dei “trasgressori” che passeggiano. E così capita che Zaia arrivi a minacciare “il coprifuoco se i veneti non stanno a casa”. E così capita che a Verona l’assessore Polato giri un video che fa il giro del web dai toni durissimi verso le centinaia di veronesi che hanno affollato le ciclopedonali e il Lungadige, mentre il sindaco arriva a chiuderle.

Parole, toni, espressioni, azioni impensabili in tempi di pace.

Il nemico, insomma, non è più l’altro, quello fuori, esterno (l’avversario politico, lo straniero, la controparte sociale, il sindaco di un’altra città eccetera), strumento – vero o immaginario che sia – adibito a unire il fronte interno. Il nemico reale è chi di noi non rispetta le regole: e che sarà sanzionato dall’amministratore a costo, anche, di perdere il suo consenso.

Il coronavirus, insomma, ha ribaltato i codici del linguaggio e lo stesso rapporto tra “l’alto e il basso” per dirla con Gaber. Il politico non si preoccupa più di blandire, anzi. La classe dirigente sente il peso della responsabilità contro un virus subdolo, ignoto e imprevedibile, così mette da parte il superfluo e, piaccia o meno, va dritta al punto.

E’ tempo di verità, non di artifici. Primum vivere deinde philosophari.