Meno di un veronese su dieci, tra quelli che hanno aderito all’indagine epidemiologica sulla prevalenza del Sars-Cov-2 nella popolazione, è risultato positivo asintomatico al Covid-19, dunque in grado di diffondere il virus senza saperlo. 

È una buona notizia: la nostra città è pronta a ripartire, perché è a basso rischio d’infezione, a testimonianza dell’efficacia delle restrizioni anticontagio e del comportamento virtuoso dei veronesi durante il lockdown. D’altro canto il dato è anche un campanello d’allarme: un’alta percentuale di cittadini mai entrati a contatto col nuovo coronavirus impone di attivare massicce misure di prevenzione in vista dell’autunno e di una possibile seconda ondata della malattia. Perciò avanti tutta con le riaperture, ma con l’obbligo di indossare i dispositivi di protezione individuale, mantenere il distanziamento sociale nei luoghi chiusi ed evitare gli assembramenti all’aperto, per non prestare il fianco al virus. 

Il sindaco Sboarina con Guerriero (al centro) e Pomari (Foto di Laura Perina)

Sono questi, in estrema sintesi, i risultati presentati dal dottor Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia dell’Irccs Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, e dal biostatistico Massimo Guerriero, ideatore del progetto “Comune di Verona 2020”, il primo in Italia attivato con lo scopo di determinare la distribuzione del nuovo Coronavirus in una città di medie dimensioni. Alla ricerca, promossa dal Sacro Cuore e dall’Amministrazione scaligera, hanno collaborato l’università di Verona, l’Azienda ospedaliera universitaria integrata e l’Azienda sanitaria Ulss 9.    

Lo studio è stato condotto su un campione di 1.515 persone con almeno dieci anni d’età, rappresentativo dell’intera popolazione del Comune capoluogo (235mila abitanti), i cui nominativi sono stati estratti dagli elenchi dell’Anagrafe con criterio casuale. Si tratta del 99,2 per cento di coloro che erano stati invitati a partecipare all’indagine. Tutte le età sono state ben rappresentate: di particolare interesse la presenza di ben 96 minorenni e 29 ultra novantenni. 

I soggetti sono stati sottoposti al tampone nasofaringeo per l’individuazione della malattia e al prelievo di sangue propedeutico al test sierologico per l’individuazione degli anticorpi. Dieci di loro (0,7 per cento del campione, con un’età media di 53 anni) erano ammalati al momento dello screening, ma senza saperlo. Se rovesciamo la percentuale sulla popolazione complessiva, si tratta di 1.645 cittadini potenzialmente in grado di diffondere il contagio. «Significa che il virus a Verona non è scomparso, ma la sua bassa presenza consente di tornare a una nuova normalità», spiegano Pomari e Guerriero. «Però a una condizione: mantenere rigorosamente tutte le misure di contenimento del contagio. Solo comportandoci come se ciascuno di noi fosse infettivo possiamo scongiurare un’altra situazione drammatica, come quella che si è verificata poche settimane fa».

Con questo dato è stato raggiunto l’obiettivo principale dell’indagine, identificare una quota probabile di positivi asintomatici nella popolazione. Ma la ricerca è stata messa in piedi anche per capire quanto il virus avesse circolato nella nostra città. La risposta è: poco. Il 4,5 dei soggetti testati (in termini assoluti 68 persone, pari a 10.575 veronesi) è risultato negativo al tampone e positivo agli anticorpi, ossia ha contratto il virus ed è guarito, anche se soltanto l’11 per cento aveva già ricevuto una diagnosi, mentre l’89 per cento ha riferito di non aver avuto alcun sintomo o sintomi talmente lievi da non inficiare la vita quotidiana. Gli ex positivi hanno un’età media di 44 anni, con quattro casi dai 10 ai 17 anni e altri quattro dai 18 ai 23 anni, a significare la bassa prevalenza del virus nella popolazione giovane. Dal questionario per la mappatura dei sintomi che hanno compilato emerge che hanno riscontrato, nell’ordine: perdita dell’olfatto, stanchezza, febbre e tosse. 

Il dottor Pomari

Fondamentale, per il prossimo futuro, è il dato relativo ai veronesi esposti alla malattia. Sono la maggioranza, poiché il 94,8 per cento di chi ha aderito all’indagine (1.437 soggetti, pari a 222.730 cittadini) è risultato negativo sia al tampone che agli anticorpi. Questo, come confermano i ricercatori, «ci obbliga a non farci trovare impreparati nei confronti di un’eventuale nuova ondata di infezioni in autunno». Come? «Mediante un’adeguata programmazione sanitaria sia della medicina del territorio sia ospedaliera. Anche in questo caso l’impatto sarà proporzionale alla nostra capacità di mantenere tutte le misure per la riduzione del contagio e alla corretta reattività dei sistemi sanitari».

Foto di copertina di Laura Perina