Parlare di innovazione il giorno stesso in cui la società di rating Fitch declassa l’Italia a livello BBB- sembra un azzardo. Con Marco Buemi però si può farlo, perché il suo lavoro è proprio costruire progetti e modelli di innovazione sociale e di sostenibilità. Oggi nella consueta chiacchierata di “Heraldo” in diretta su Facebook e Youtube si è quindi parlato se questo approccio allo sviluppo abbia un futuro, visto che la crisi sta mettendo a dura prova l’intero sistema economico.

«Usciremo dall’emergenza, ora vediamo la grande corsa da parte anche di aziende che facevano altro, settore moda in primis, che convertono le produzioni per realizzare camici e mascherine, oppure fanno donazioni per acquistare nuovi dispositivi medici – ha affermato il project manager veronese, che era già stato intervistato dal nostro giornale –. Con il lockdown abbiamo anche visto che il sistema di prenotazione della spesa online è andato in tilt ed è emerso il ruolo delle botteghe di prossimità, che hanno dato il servizio di consegna a domicilio. Non credo che questa attenzione cambierà nel futuro, questi strumenti saranno riproposti e affinati domani.»

Chi abita nelle grandi metropoli è molto a rischio, le grandi aggregazioni favoriscono la diffusione del Covid-19 e ne risentono la socialità e le relazioni in tutti i grandi agglomerati urbani. Che innovazione pensare allora per agevolare processi per vita il più normale possibile? «Le grandi città, come New York ad esempio, vissute dai giovani con difficoltà per i costi degli alloggi e per la precarietà, hanno visto il proliferazione di gruppi di mutuo soccorso concepiti per sostenere i più vulnerabili durante l’isolamento – ha continuato Buemi, che è anche lead expert del programma europeo per lo sviluppo sostenibile delle città Urbact –. Fasce diverse di età si sono unite, ma anche qui in Italia si è riscoperto lo spazio dei terrazzi condominiali, prima non frequentati da nessuno, da cui ci si parla tra un palazzo e l’altro. Questi sono segni positivi per il futuro.»

Il dialogo ha toccato anche la difficoltà di creare comunità in contesti urbani più piccoli, però spesso caratterizzati da una popolazione che non si conosce, che vive in queste aree per ragioni lavorative o per processi migratori. E si è anche parlato di Unione europea e del piano di Green New Deal, previsto per il periodo 2021-2027. «L’Ue deve invertire la tendenza generale e investire proprio nei settori che favoriscano l’impatto zero. Uno dei focus del programma è infatti sostenere le strategie di sviluppo a livello locale e che promuovano la sostenibilità urbana in tutta l’Unione, ha puntualizzato Buemi, che ha poi risposto alla domanda su quanto il sistema della moda sia in profonda crisi, non solo economica ma di identità, e sarà costretta, a suo avviso, a «rallentare, puntare sull’economia locale, usare le nuove tecnologie e strumenti di logistica che includano le piccole imprese. Il sistema della fast fashion non è più riproponibile.»

Un ultimo sguardo è andato a Verona, città in cui torna spesso e che Buemi vede ancora ferma sul piano della co-progettazione e dell’accesso ai finanziamenti europei. «Ci sono centri anche più piccoli che sanno lavorare meglio in questo senso – ha così chiuso l’esperto –. Qui occorre mettere insieme i saperi, che sono moltissimi, e scegliere una via condivisa non solo da parte della pubblica amministrazione, ma anche tra protagonisti del Terzo settore.»