Il caso Moussa manca ancora all’appello
Il Comitato Verità e Giustizia - durante la Giornata Mondiale del Rifugiato al Festival di One Bridge To - ricorda il ragazzo maliano ucciso in Porta Nuova a ottobre 2024.

Il Comitato Verità e Giustizia - durante la Giornata Mondiale del Rifugiato al Festival di One Bridge To - ricorda il ragazzo maliano ucciso in Porta Nuova a ottobre 2024.
«Ci tenevo a salutarvi e a ringraziarvi per il vostro lavoro. State facendo la cosa più importante: parlarne per mantenere alta l’attenzione e per responsabilizzare la magistratura». Con il saluto di Ilaria Cucchi inizia il memoriale per l’omicidio di Moussa, dove, a otto mesi di distanza, l’interrogazione parlamentare della senatrice non ha ancora ricevuto risposta.
Risale a novembre la richiesta di valutazione del caso, con molte ombre, della morte alla stazione di Moussa Diarra, quando il ministro dei trasporti Matteo Salvini aveva dichiarato: “Non ci mancherà”. «Esultare svalutando la vita purtroppo persa di una persona è un modo di fare politica che non posso accettare. E soprattutto non posso accettare che si faccia politica sulla pelle della gente», aggiunge l’avvocato Fabio Anselmo, in collegamento insieme alla senatrice. «Dire che era armato di coltello evoca un sentore di pericolo che a mio avviso non c’era; dalle foto sembrano più posate da tavola che strumenti d’offesa, i poliziotti erano numerosi. Abbiamo visto le immagini, attendiamo l’interpretazione che ne darà la procura».
Dentro le mura del forte, nel contesto del Festival dedicato alla Giornata Mondiale del Rifugiato organizzato da One Bridge To, il 20 giugno si è tenuto il memoriale per la morte di Moussa Diarra, ucciso il 20 ottobre 2024 alla Stazione Porta Nuova da un agente della Polfer. A ricordarlo e a chiedere giustizia erano presenti Moussa Keita in rappresentanza della Comunità Maliana, Baba (amico di Moussa), Giuseppe e Daniele del Comitato Verità e Giustizia per Moussa. «Moussa Diarra era di un paese vicino al mio, in Mali. Conosco la sua famiglia e voglio ringraziare il Comitato Verità e Giustizia per quello che stanno facendo», ricorda Moussa Keita, che aggiunge: «Il giorno in cui ho visto il commento di Salvini ho dato la notizia all’Alto Consiglio, al nostro presidente Ousmane Diallo, e insieme abbiamo contattato il presidente dell’Alto Consiglio d’Italia».
Dopo la chiamata all’ambasciata del Mali, si sono attivati per comprendere la dinamica e supportare le indagini. Jacopo Rui, operatore sociale che aveva conosciuto Moussa Diarra lavorando al Community Center, riporta l’amarezza dell’avvocato Anselmo nel dire che non c’è lo stesso livello di garanzia se a morire è una persona di colore. Ricorda inoltre il corteo del 26 ottobre a Verona, che ha visto la partecipazione di oltre 5.000 persone di origine maliana, che chiedevano giustizia, rivendicando il loro spazio e la loro presenza in una città che discrimina e punisce chi è diverso.
Giuseppe interviene sottolineando la ricorrenza, in cui ogni 20 del mese è importante per il Comitato Verità e Giustizia. «Per una parte della città di Verona questa giornata rappresenta l’occasione per riannodare i fili della storia di Moussa Diarra. È un bisogno collettivo e personale che, otto mesi dopo, aiuta a sciogliere la confusione di ciascuno e ciascuna». Con questo lavoro di gruppo si riporta alla luce la discrezionalità con cui si concedono diritti che dovrebbero essere fondamentali e garantiti a tutti. Un sistema che non permette di accedere a una casa e a un lavoro dignitoso, ma anzi isola ed esclude, è «un sistema malato, che in qualche modo rende le persone fragili».
Lo stesso giorno della sparatoria, ricorda il rappresentante del Comitato, è uscito il comunicato congiunto tra Questura e Procura che ha fissato il quadro narrativo e dichiarato l’inutilizzabilità delle telecamere. La ricostruzione che è stata riportata ha assunto una forma granitica e ha disegnato il profilo di Moussa come quello di un mostro, continua Giuseppe, che genera insicurezza in una città altrimenti tranquilla come Verona. «Se non avesse avuto delle comunità intorno come quella maliana, quella del Ghibellin Fuggiasco e quella che si è aperta in sostegno alla famiglia e agli amici dopo la morte, la storia di Moussa Diarra sarebbe stata quella di centinaia di vittime senza volto e senza giustizia, rimaste chiuse in un cassetto».
Il Comitato Verità e Giustizia per Moussa Diarra è nato l’indomani dell’omicidio per supportare legalmente ed economicamente la famiglia della vittima nel ricevimento della salma. Il percorso del maliano, rappresentato dalle avvocate Paola Malavolta, Francesca Campostrini e dall’avvocato Anselmo (già legale nel caso Stefano Cucchi), viene passo dopo passo ricostruito grazie a testimoni presenti il 20 ottobre e ad amici che raccontano chi era. Baba, amico di Moussa, ricorda ancora una volta: «Non beveva e non fumava, seguiva le regole della religione musulmana. Quello che dicono di lui è propaganda». Sottolinea che ciò di cui soffriva era depressione, perché non aveva un posto dove vivere, un lavoro regolare e non gli era stato riconosciuto l’asilo. «Per Moussa vogliamo verità e giustizia, perché siamo migranti in questo paese ma abbiamo i nostri diritti».
Daniele Todesco, ultimo a intervenire a nome del Comitato, elenca gli errori burocratici che hanno portato Moussa a essere un “disconosciuto”: se la sua data di nascita fosse stata corretta, al suo arrivo avrebbe dovuto essere protetto come minore non accompagnato. Il Comitato Verità e Giustizia per Moussa sostiene che solo con l’intervento anche della comunità maliana si potranno ottenere risultati, oltre che attraverso cortei e la presenza della società civile. Per questo il Comitato assumerà una forma giuridica che permetterà di raccogliere finanziamenti per il sostegno legale alla famiglia.
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