Da tre mesi Hong Kong ha sollevato una protesta contro il suo governo, emanazione di quello della Cina comunista, che nel 1997 con Margaret Thatcher acquisì la sovranità della colonia britannica. Iniziata come un dissenso contro una legge sull’estradizione in Cina, è proseguita come una radicale contestazione contro il governo cinese che poco alla volta sta erodendo la formula “due sistemi in uno stesso Paese” attraverso cui aveva dichiarato di voler governare il processo di riassorbimento di Hong Kong nella Cina continentale. Proposito che tuttavia il governo della Città Proibita ha a lungo andare abbandonato, puntando di fatto verso un’assimilazione a tappe serrate dell’ex colonia britannica al sistema politico nazionale. Assimilazione tuttavia molto attenta a non danneggiare il sistema economico di una delle principali piazze economiche mondiali. 

Le proteste di piazza di questi giorni sono la prosecuzione della “Rivolta degli ombrelli” che nel 2014 per 79 giorni sferzò la città per richiedere il suffragio universale. 

La protesta a Hong Kong

I giovani rivoltosi di Hong Kong hanno dimostrato fino a ora una notevole abilità tattica. Con la loro divisa composta da maglietta nera, casco antinfortunistico, occhiali e benda sul viso, oltre all’ombrello, retaggio della rivolta del 2014, hanno opposto alla polizia dell’isola un mix di tattiche di guerriglia urbana molto duttile ed efficace, mettendola spesso in difficoltà ma rischiando così un intervento dell’esercito cinese che staziona ai confini dell’ex colonia inglese. E un’altra Tienanmen.

I ribelli sono invisi al resto della Cina, la cui opinione pubblica è succube della propaganda di regime che li dipinge come agenti di potenze straniere e suscitano indifferenza presso le opinioni pubbliche occidentali, che solo pochi mesi fa si sono esaltate per il movimento parafascista rossobruno dei “gilet gialli” in Francia. L’Occidente del resto pare sempre più un fedele adepto di una specie di realismo da supermercato discount della politica e considera la rivolta di Hong Kong alla stregua di un affare interno cinese di cui non ci si deve occupare, per non irritare il colosso asiatico con il quale bisogna pure venire a patti nel nome della ragion di commercio. 

Il sindaco Federico Sboarina con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella

Nei giorni in cui Hong Kong lotta per la sua libertà, il sindaco di Verona vola in Cina per gemellare la città di Giulietta e Romeo con Hangzhou, città cinese di cui fino a ora il 99,99% dei veronesi ignorava l’esistenza. Ovviamente la questione dell’opportunità di tessere relazioni con una nazione non solo governata da un regime comunista ma che proprio in questi giorni al suo interno sta reprimendo una rivolta per i diritti civili non ha nemmeno sfiorato i membri dell’amministrazione veronese. La quale tra le altre cose ha come socio di maggioranza un movimento il cui leader un giorno sì e l’altro pure manda “Bacioni” a tutti i “rosiconi comunisti”. Lievemente paradossale.

Eppur questi giovani che sfidano una delle più potenti dittature del mondo brandendo i loro ombrelli ci danno un grande insegnamento: quanto sia importante la libertà quando non la si ha e che cosa si è disposti a fare per averla. 

Cosa che l’Occidente, il quale è talmente nauseato dalla libertà al punto da venerare come leader di riferimento un paradittatore come Putin, pare avere completamente dimenticato. 

Questo forse, più di mille analisi sociologiche, serve a capire i motivi per cui un parvenu della politica sia asceso al ruolo di leader nazionale dichiarando solennemente che si sente più a casa sua nell’illiberale Russia che in qualsiasi altro Paese occidentale. 

In una società sana, un’affermazione del genere sarebbe sufficiente a gettare nella Trotzkiana “pattumiera della storia” chi l’ha fatta. Ma non in un paese al quale la libertà sembra essere venuta a noia. È compito dei sociologi capire i motivi per cui ciò è avvenuto. Ma è dovere civile ricordare sempre e in ogni momento che tollerare in una qualsiasi parte del mondo l’ingiustizia e la privazione delle libertà fondamentali è il primo passo per tollerare che ciò accada anche a casa nostra.

Quindi è opinione di chi scrive che tutte le forze civili della città di Verona, indipendentemente dalla loro collocazione nello spettro politico, dovrebbero con una sola voce chiedere all’amministrazione comunale di ritirare il gemellaggio con la città di Hangzhou in segno di solidarietà con la lotta per la libertà della popolazione di Hong Kong. E ciò è quello che questa amministrazione dovrebbe fare, se per essa la dignità politica e civile ha ancora un significato.