«Qual è il piano?» È la domanda leitmotiv che percorre tutta la saga di Mission Impossible a cui solo Ethan Hunt può rispondere. Una domanda per conoscere il futuro, interpretare il presente per non farsi schiacciare dal passato. Perché in Mission Impossible: The Final Reckoning, ultimo e finale capitolo che ripercorre 30 anni di cinema in un archivio museale di immagini, come se si trattasse di un saggio teorico sull’evoluzione della star Tom Cruise, la risposta è affidata a un atto di fiducia totalitario al suo autore: «Fidati di me, un’ultima volta.»

Così per l’ultima volta in una via crucis messianica, Ethan Hunt indossa nuovamente la maschera del salvatore del pianeta scontrandosi contro un nemico invisibile, un’entità, una IA che mina costantemente la fiducia dello spettatore in ciò che vede. Perciò i dialoghi sono costruiti attraverso una bulimia di informazioni che non si riescono a comprendere, la grammatica degli sguardi non rispetta i raccordi sull’asse, gli scavalcamenti di campo non sono più un errore ma una regola che disorienta, respinge, annienta.

“Non sono gli anni ma i chilometri”

Affidarsi all’analogico rimane perciò la soluzione più semplice (l’oggetto che decripta il segreto di questa IA è una chiave d’altri tempi), che non porta implicazioni reazionarie bensì l’avvicinamento a un’umanesimo pacifista che risponde alle preoccupazioni del mondo reale, il nostro. Non quello dell’entità. La Mission Impossible ultima, quindi, è contro IL tempo (i cronometri su schermo non sono mai stati così tanti) con la vecchiaia che avanza e i compagni che se ne vanno.

Ethan Hunt rinasce in un liquido amniotico glaciale (da manuale del cinema suspense la sequenza negli abissi) e riacquista la consapevolezza di un mondo sì digitale, ma che risponde a logiche ancora non esclusivamente algoritmiche. «Qual è il piano?» Dunque? «Dopo ci pensiamo» è la risposta. L’agire affidandosi al proprio istinto. Correre a perdifiato senza una logica. Salire su un biplano (Top gun Maverick che ritorna) in volo per uno stunt che è già storia del cinema. Credere nell’uomo, ingenuamente forse. Credere nel cinema, al suo spettacolo.

Il trailer del film

La smorfia finale di Tom Cruise ha la stessa forma di quella di Indiana Jones – altro eroe analogico del cinema – con la consapevolezza che a pesare «non sono gli anni. Sono i chilometri». E di chilometri Ethan Hunt ne ha percorsi tanti. Eppure sembra sempre la prima volta.

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