Nel 2024, in Italia, secondo il rapporto annuale dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), il consumo di suolo naturale ha raggiunto i 78,5 chilometri quadrati (kmq), con un aumento del 15,6% rispetto al 2023. Di questi, il 21%, pari a 17 kmq, è attribuibile all’installazione di nuovi impianti fotovoltaici a terra. Si conferma così una continua e quasi inarrestabile espansione dell’occupazione di superfici originariamente agricole, naturali o seminaturali, convertite in coperture artificiali legate alle dinamiche insediative.

Tra gli operatori del settore sorge però un dubbio: gli impianti fotovoltaici consumano effettivamente suolo come sostiene ISPRA  o semplicemente lo ombreggiano? Il terreno viene realmente degradato dalla presenza dei pannelli fotovoltaici o le produzioni agricole ed energetiche si possono completare?

Sembra essere una discussione tecnica ma ISPRA  è un riferimento autorevole per i Ministeri dell’Ambiente e dell’Agricoltura nell’esercizio delle loro attribuzioni, e può avere ripercussioni significative sulle politiche agricole e energetiche del Paese.

Come è costruito il rapporto ISPRA

I tecnici del SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente) incaricati della redazione del rapporto, interpretando immagini telerilevate (fotografie dall’alto) 10×10 metri di territorio, considerano consumate le superfici dove l’antropizzazione copre più del 50% della cella. La differenza fra un anno e l’altro rappresenta il consumo di suolo annuale.

A partire da questo metro di misura, ISPRA individua convenzionalmente tre macro categorie con cui aggregare i dati e  classificare le opere presenti nel suolo:

  • Consumo di suolo permanente, legato a copertura artificiale permanente con impermeabilizzazione del terreno e perdita irreversibile delle sue funzioni ecologiche (edifici, fabbricati, infrastrutture pavimentate o ferrate, altre aree pavimentate o dove sia avvenuta un’impermeabilizzazione permanente del suolo).
  • Consumo di suolo reversibile, dovuto alla presenza di una copertura artificiale temporanea oppure reversibile, con distruzione del suolo o perdita delle sue funzioni (aree non pavimentate con rimozione della vegetazione e asportazione o compattazione del terreno dovuta alla presenza di infrastrutture, cantieri, piazzali, parcheggi, cortili, campi sportivi o depositi permanenti di materiale; impianti fotovoltaici a terra ad alta densità; aree estrattive non rinaturalizzate).
  • Forme di copertura del suolo senza consumo, in cui l’antropizzazione copre meno del 50% e in cui rientrano ad esempio gli impianti fotovoltaici a bassa densità.

La densità della copertura del terreno per il fotovoltaico è misurata con una fotografia dall’alto che proietta pannelli fotovoltaici al suolo. ISPRA misura quindi l'”ombra” del pannello, se copre più del 50% della cella 10×10 metri di suolo la densità è alta e diventa consumo di suolo reversibile altrimenti non lo è.

Consumo storico di suolo attribuito al Fotovoltaico

Secondo ISPRA in Italia nel 2024  il fotovoltaico a terra con 17 kmq, di cui l’80% riguardante superfici precedentemente utilizzate ai fini agricoli, rappresenta la seconda fonte di consumo di suolo. Ad essi si aggiungono i circa 1,3 kmq di impianti “a bassa densità”.

Il rapporto segnala, inoltre, un trend in forte aumento di installazioni rispetto agli anni precedenti (4,2 kmq di suolo “consumato” nel 2023, 2,6 nel 2022 e 0,8 nel 2021), a conferma di un fenomeno coerente con gli obiettivi di decarbonizzazione del Paese indicati dal PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima) per la mitigazione dei cambiamenti climatici.

Il fotovoltaico a terra non consuma suolo

Occorre notare che il fotovoltaico a terra (pannelli sollevati, su piedistallo, orientati a sud verso il sole), nell’ipotesi che gli impianti siano progettati e realizzati a regola d’arte, hanno un impatto sul terreno molto diverso dal quello delle altre tipologie di intervento classificate come consumo di suolo reversibile.

Il fotovoltaico non produce un impoverimento degli ecosistemi naturali, come succede invece nel caso di strade, edifici o cave. Il terreno circostante i piedistalli che sorreggono i pannelli, la maggior parte della cella 10×10 metri,  mantiene tutte le sue proprietà, conserva la sua biodiversità e rimane a disposizione di fauna e flora (vedi immagine). L’agrivoltaico, soprattutto, integrandosi con l’attività agricola già esistente, non produce un impoverimento del terreno ma aiuta l’attività zoo-agricola.

Nel Luglio 2023 le maggiori associazioni tra cui Legambiente, Italia solare, Kyoto Club, WWF, in una lettera a ISPRA, affermavano: «Non ci sembra renda giustizia a un’analisi obiettiva della realtà sommare algebricamente territorio realmente impermeabilizzato dal cemento usato per parcheggi, immobili, strade e impianti industriali  insieme a territorio che ospita strutture di produzione dell’energia che non lo impermeabilizzano, non lo inquinano e non lo depauperano biologicamente, oltre a essere fondamentali per la salvezza climatica e per l’approvvigionamento energetico di noi tutti». Chiedevano di cambiare la valutazione.

L’ombra non consuma suolo ma aiuta a mantenerlo

ISPRA si ostina a non affrontare il tema della misurazione dell’effettivo consumo di suolo attribuibile agli impianti fotovoltatici a terra e  dedica  curiosamente pagine del rapporto per dimostrare che ci sono sufficienti tetti disponibili per soddisfare gli obiettivi del PNIEC al 2030, senza dover per questo installare impianti al suolo.  

Si tratta di un intervento politico fuori contesto da parte dell’ISPRA, un assist a coloro che si oppongono allo sviluppo delle energie rinnovabili. La sua considerazione andrebbe invece inserita  in una valutazione più ampia riguardante la transizione energetica del Paese per evitare un consumo più impattante di suolo dovuto alla desertificazione e alle devastazioni provocate dai cambiamenti climatici (vedi ultimo rapporto IPCC).  

ISPRA sembra inoltre dimenticare che la transizione energetica non si ferma al 2030 e l’urgenza di agire consiglierebbe di utilizzare il fotovoltaico sui tetti degli edifici senza escludere quello al suolo. Anzi!

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