C’è qualcosa di unico nell’aria di “Parole Alte”, la rassegna letteraria all’interno del Film Festival della Lessinia: non è solo un luogo di incontri, ma un vero laboratorio di pensiero e curiosità, in cui la montagna diventa specchio e metafora del mondo contemporaneo.

Quest’anno, nonostante la pioggia abbia in parte condizionato l’intera kermesse, la rassegna ha confermato la sua forza: portare il pubblico a esplorare temi classici eppure sempre attuali, come la storia, l’ambiente, la vita nelle terre alte, senza trascurare il coraggio di affrontare questioni complesse come i confini geografici e simbolici, la politica, la guerra, la pace.

Dalla presentazione del primo libro di poesie di Stefano Del Bianco al debutto di un ospite internazionale fuggito dal regime di Saddam, passando per incontri sulla coesistenza con la fauna selvatica o sulla vita dei forestali, “Parole Alte” ha dimostrato ancora una volta di saper intrecciare tradizione e innovazione, riflessione e partecipazione. A pochi giorni dalla sua conclusione, Michele Zanini, responsabile della rassegna, traccia un bilancio dell’edizione.

Zanini, come è andata quest’anno la rassegna Parole Alte?

Michele Zanini

«Nel complesso sono più che soddisfatto. Ero partito contento di quello che era stato programmato e finisco contento di come sono andati gli incontri. Anche il meteo, nonostante la pioggia e il freddo di venerdì, ha in qualche modo rafforzato il valore della proposta: se la gente viene lo stesso, significa che il programma ha il suo peso.»

Quali erano gli obiettivi principali di questa edizione?

«Parole Alte ha sempre tentato di dare prospettive quanto più ampie possibili. Ci siamo mossi sia sui libri più classici sulla montagna e sui mestieri di una volta, sia su percorsi meno scontati: ambiente, ecologia, poesia, questioni legate ai confini. Quest’anno, per esempio, siamo riusciti a portare il primo libro di poesie, di Stefano Del Bianco, vincitore del Premio Strega per la poesia lo scorso anno, e un ospite internazionale, lo scrittore iracheno Usamani, che oggi vive in Svizzera.»

Ci sono stati incontri che l’hanno colpita particolarmente?

«Forse l’incontro che ho moderato domenica scorsa con tre scrittrici italiane di montagna: Paola Lugo, Anna Sustersich e Paola Favaro. Tre filoni fra loro molto diversi – storico, coesistenza con la fauna selvatica, esperienza di 40 anni nella forestale – per affrontare il tema dei confini. E devo dire che il risultato è stato ordinato e chiaro, pur con prospettive così differenti.»

Come avete trattato temi complessi e delicati, come la situazione Israele-Palestina, all’interno di un festival di montagna?

«Il tema di quest’anno erano i confini. Non potevamo non parlarne anche in chiave attuale. Abbiamo accolto il messaggio forte di pace portato da Moni Ovadia, artista israeliano che ha denunciato il genocidio in corso. È stato un valore aggiunto per il festival: parlare di confini significa parlare di storia, di politica, di responsabilità, e questo conferisce profondità alla rassegna.»

Ci sono stati momenti anche momenti giornalisticamente importanti” durante il festival

«Sì, l’incontro organizzato sulle Olimpiadi è stato molto partecipato e ha fatto emergere contenuti importanti. Duccio Facchini e Franco Bragagna hanno portato dati, numeri e riferimenti precisi. Non era una questione di posizioni pro o contro: volevamo uno stato delle cose chiaro e puntuale.»

C’è qualche novità che l’ha soddisfatta particolarmente in questa edizione?

«Sono molto contento della nascita di un gruppo di lettura collegato a Parole Alte. Alcuni amici e frequentatori storici del festival hanno partecipato durante autunno, inverno e primavera alla selezione e al ragionamento sui libri. Alcuni hanno moderato incontri, altri lo faranno in futuro: coinvolgere persone di qualità ha sicuramente migliorato il risultato finale.»

Come valuta la costante qualità della rassegna, al di là dei nomi più noti?

«La qualità è stata costante lungo tutta la rassegna. Certo, alcuni nomi attirano più pubblico, ma il vero obiettivo era offrire prospettive diverse e stimolare la riflessione. Credo che, tra libri classici e temi innovativi, siamo riusciti a mantenere questo equilibrio. A proposito di questo, vorrei ringraziare tutti coloro che partecipano e contribuiscono: autori, moderatori, lettori del gruppo di lettura. Parole Alte cresce grazie a chi la vive e la sostiene con entusiasmo. La rassegna è fatta anche di energia condivisa e, personalmente, vedere tutto questo movimento rappresenta la soddisfazione più grande.»

E a proposito di movimento, il gran finale con Marco Paolini è stata la degna conclusione a un’edizione che rimarrà a lungo nella memoria collettiva…

«Complice una splendida giornata di sole e temperature miti, l’evento ha registrato una partecipazione straordinaria. È stato un incontro intenso, dedicato al tema dell’acqua e dei suoi confini, con la presentazione al Festival del film di Paolini Mar de Molada, un documentario ispirato al suo spettacolo. Dighe, argini dei fiumi, e in mezzo a tutto questo, Paolini ha saputo evocare montagna, vita e opinioni personali, intrecciando profonde riflessioni a momenti di allegria e relax. Il tutto è stato caratterizzato, come chi conosce bene l’attore sa, da una vivace vena dialettale veneta, che ha costituito il cuore pulsante dell’incontro.»

State già pensando all’edizione successiva?

«Sì, in realtà ho già cominciato a buttare giù idee per Parole Alte 2026. Gli anni scorsi iniziavo l’ultimo giorno della precedente edizione, ma quest’anno, approfittando delle letture e delle suggestioni raccolte, ho anticipato il lavoro. Poi, dopo il Festival della Letteratura di Mantova e il PordenoneLegge, ci sarà occasione di sviluppare ulteriori spunti.»

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