Venezia 82: “Il mago del Cremlino” e “Sotto le nuvole”
Assayas e Rosi portano al cinema due film diametralmente opposti, fatto di cliché e stereotipi, l'uno, e di immagini senza tempo, l'altro.

Assayas e Rosi portano al cinema due film diametralmente opposti, fatto di cliché e stereotipi, l'uno, e di immagini senza tempo, l'altro.
Ci sono film che parlano di un’epoca e ci sono film che fotografano un’epoca. È il caso dei due film in concorso all’82 Mostra internazionale d’Arte cinematografica di Venezia, Il mago del Cremlino di Olivier Assayas e Sotto le nuvole di Gianfranco Rosi: mentre il primo vuole fotografare un personaggio (quello di Putin) quasi per ridimensionarlo, il secondo amplia la storia di Napoli in un’istantanea infinita, ferma nel tempo.
Già sceneggiatore di The wasp network, il francese Olivier Assayas sembra accondiscendere a una visione occidentale della Russia, volendo spiegarla al grande pubblico senza conoscerla. Fin dall’inizio, la storia raccontata in forma di intervista (secondo il romanzo omonimo di Giuliano da Empoli) a Vadim Baranov, nome d’arte per il reale Vladislav Surkov che si ritiene fosse il burattinaio dell’ascesa di Putin. Vadim Baranov, interpretato da Paul Dano, è un attore poi dirigente televisivo che si trova per maestria a tessere la politica russa da dietro le quinte. Il Putin interpretato da Jude Law è l’unico personaggio veramente studiato e applicato alla lettera, nonché l’unico che abbia effettivamente sembianze non americane, confermando la frase che lo stesso Baranov pronuncia per spiegare la ricetta di un programma tv di successo: “Funziona se contiene tutti i cliché russi”. Il dialogo politico che accompagna le tappe dell’ascesa (la campagna, l’esercito, la Crimea e le Olimpiadi) è scarno di contenuti e improntato alla strategia, segno che della profondità politica tanto russa quanto occidentale sia rimasto poco nella storia. Un film che tra attori americani in pellicce e propagande liberali propone un’interpretazione di Putin ben chiara. Se vincesse si potrebbe dire quasi una propaganda.
Al contrario, Gianfranco Rosi si diletta ed esalta la storia di una città nei secoli e millenni fotografando in bianco e nero gli elementi portanti di Napoli che stanno, appunto, sotto le nuvole del Vesuvio. Un viaggio nel tempo e che va da prima dell’eruzione fatale all’oggi: vengono narrate le statue e i resti umani mummificati di Pompei in alternanza con le telefonate dei cittadini alla centrale dei pompieri durante il terremoto.
C’è poi il doposcuola di Titti, un incontro pomeridiano dei bambini del quartiere che si trovano per il ripasso, gli archeologi dell’università di Tokyo che scoprono le bellezze nascoste di una villa per restituirla alla comunità e il procuratore con affiliati che mappano e scoprono i tunnel dei tombaroli: veri e propri ladri di storia che sottraggono pezzi di muro e intere città sotterranee. Nell’intervista ai “ratti” durante il film questi si lamentano dei tombaroli precedenti, segno di una tradizione di furti d’arte centenaria. Un film che si propone di ricordare la caducità e l’eternità che aleggiano su Napoli, come nuvole del malaugurio rendendola ancora più speciale.
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