Venerdì 22 agosto ha preso il via a Bosco Chiesanuova il 31° Film Festival della Lessinia. La sezione “Parole Alte” ha visto la presenza di Marco Albino Ferrari che ha parlato de “La montagna che vogliamo”, titolo che riprende quello del suo ultimo lavoro editoriale.

L’incontro ha preso il via sovrastato dal potente rombo del temporale e da un consistente scroscio d’acqua. Dall’incontro sono uscite molte proposte e molte idee, peraltro già avanzate nel libro di Ferrari.

La montagna che vogliamo

Marco Albino Ferrari, foto di Agostino Mondin

La montagna deve essere considerata come realtà complessa e non come un’idea singola che in quanto tale evoca un’immagine ideale e stereotipata.

Meglio quindi parlare di aree interne, quelle che da foto satellitari notturne risultano in nero rispetto alla pianura padana e alle coste italiane. Possiamo anche definirle aree a bassa o alta pressione antropica. Quindi con esigenze e caratteristiche diverse. 

Secondo Marco Albino Ferrari non bisogna pensare sempre che l’intervento umano sia negativo. Non sempre la natura è buona e non sempre l’uomo è cattivo.

L’uomo, nei secoli, ha modellato la natura, la montagna in un’alternanza di prati e boschi curati secondo un’idea di sostenibilità.

Aumento dei boschi

In questi ultimi anni assistiamo ad un aumento dei boschi e all’arretramento dei pascoli montani. Questo non sarebbe in buon segnale in quanto la scomparsa dei prati rappresenta una grave perdita anche sul piano della biodiversità.

Pensando al futuro, Ferrari crede che per sostenere e custodire la montagna non servano grandi opere ma piccoli interventi organici e coordinati con le esigenze delle comunità.

In molti paesi e comuni montani mancano i negozietti di comunità, la piccola bottega dove trovare il pane, generi alimentari e altri prodotti utili per la vita in montagna. Questi negozietti sono importanti anche come luogo di scambio di chiacchiere, notizie, pareri che altrimenti non circolerebbero.

Insomma il futuro della montagna deve ripartire dalla ricostruzione del tessuto di una comunità che abbia la voglia e la capacità di guardare al lungo periodo così come hanno fatto in alcune zone della Val di Fassa.

Dopo il disastro Vaia gli abitanti e i proprietari dei boschi devastati si sono rimboccati le maniche e a loro spese stanno realizzando la ri piantumazione di piantine di alberi che saranno utilizzabili tra ottanta o cento anni. 

Un messaggio di futuro forte e chiaro che dovrebbe essere seguito anche dalle realtà politiche che invece faticano a progettare cose oltre i cinque, dieci anni.

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